LA PACE APPESA AL FILO CHE UNISCE WHASHINGTON E GERUSALEMME
Di Hushmand Toluian direttore di www.tibinet.it
Sabato 04 Ottobre 2003, il ristorante “Maxim” sul lungomare di Haifa è pieno. Intere famiglie, uomini, donne e bambini affollano la sala del “Maxim”, indifferenti al fatto che al tavolo vicino siano seduti degli arabi oppure degli ebrei. In questa città la convivenza è ordinaria, come lo è recarsi al “Maxim”, che anzi è pure di proprietà mista. Quando entra, nessuno fa caso a Hanadi Tayseer Jaradat.
È una giovane araba di 29 anni, un’avvocatessa di Jenin dai modi e dalle maniere delicate ed educate, non ha nulla a che fare con un soldato della Jihad e nessuno l’ha notata neanche ai posti di blocco. Lei, però, non vuole più vivere, nel suo cuore c’è solo odio, niente più sogni, niente più speranze e, soprattutto, niente più amore, per nessuno.
Nei suoi occhi ci sono ancora quei soldati, quelli che sono entrati in casa ed hanno ucciso suo fratello e suo cugino, il suo promesso sposo, il suo amore.
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La imbottiscono di esplosivo e biglie di ferro e lei compie la sua missione di morte. Uccide, oltre se stessa, 19 persone, cinque erano bambini, ne ferisce altre 60, tra i morti ci sono pure degli arabi, 2 cattolici e 2 mussulmani.
Il mondo è sconvolto, le immagini trasmesse dalle TV sono atroci, ci si interroga sulla reazione di Israele, è probabile che questa volta Sharon vorrà chiudere per sempre il conto con Arafat, che fino a qualche ora prima, ha definito il mandante morale e materiale degli attentati suicidi e della strategia del terrore. Ma il premier ha ben altro in mente, la Domenica mattina gli F16 israeliani entrano nello spazio aereo siriano e bombardano il villaggio di Ain as-Saheb, con l’assurda pretesa di convincere il mondo intero dell’esistenza di un qualche nesso tra la Damasco e l’attentato commesso da una disperata, che forse in Siria non ha mai messo piede, che ha deciso di rispondere alla morte con altra morte. Purtroppo il nesso non c’è, come non c’è bisogno d’essere esperti di strategia per intendere che il raid israeliano non aveva altro scopo che quello di mandare un avvertimento al regime di Damasco. L’aggressione israeliana, infatti, è sostenuta dagli USA, dall’amministrazione Bush che intende esercitare quanta più pressione possibile sul giovane Assad.
La Siria, per fortuna ha deciso di non reagire allo stesso modo ed ha scelto la strada delle Nazioni Unite. Il Consiglio si è riunito immediatamente, la condanna internazionale è stata unanime, con Francia e Gran Bretagna in prima linea. Per arrivare in Siria, poi, i caccia israeliani hanno violato anche lo spazio aereo del Libano, che così si è unito alla richiesta siriana di convocare il Consiglio di Sicurezza. Una fortuna anche questa, gli Hezbollah non hanno reagito con altra violenza.
Ma Israele ha continuato ad incalzare minacciando Beirut e Damasco di estendere “il grande incendio”. A Sharon poco importa di farlo e ancora meno gl’importa di un Consiglio che sa essere paralizzato dall’amico Bush. La sua arroganza la dice lunga, le mille provocazioni, gli ultimatum e le minacce si susseguono.
Minaccia il Libano e la Siria, attacca quest’ultima perché ospita i terroristi e lascia intendere di voler fare altrettanto con l’Iran che, invece, li finanzia. Quella di Sharon sembra pura follia, non è riuscito a fare nulla per proteggere il suo popolo, nulla per portare pace e sicurezza e cresce pure la protesta dei piloti, che si rifiutano di andare a bombardare i centri civili palestinesi per compiere le cosiddette “esecuzioni mirate” durante le quali, però, muoiono cittadini inermi.
Ma non è così, Sharon non è affatto pazzo o almeno non lo è, nel senso che sa bene ciò che fa. La questione siriana è un regalo agli amici neoconservatori americani, un modo di favorire Bush e compagni cui occorre con urgenza l’approvazione del Congresso per gli 87 miliardi di dollari chiesti per l’Iraq.
Così, il presidente americano tuona: “Israele ha diritto di difendersi”, mentre l’ambasciatore John Negroponte avverte: “Nella lotta al terrorismo la Siria sta dalla parte sbagliata”.
Lasciato libero, Sharon da sfogo alle spinte più aggressive ed oscure del suo animo, ma l’amministrazione americana, in continuità con la rovinosa politica degli ultimi tre anni, non riflette sull’altrettanto aggressiva risposta che si sta generando. Il modo di agire israeliano, infatti, sta seriamente compromettendo gli esiti di quell’aspro confronto tra riformatori e conservatori che è in corso in Siria come in altri paesi. L’indignazione sta crescendo ed alle idee riformiste, sempre più largamente vengono preferite quelle integraliste di un terrorismo feroce e sanguinario, percepito come unica forma di difesa dal neocolonialismo incombente.
Le ansie degli integralisti non sembrano più tanto infondate neppure ai riformatori, l’ONU pare incapace di attuare provvedimenti concreti, mentre l’influenza americana nella regione cresce. Paesi come l’Egitto e la Giordania non possono più fare a meno degli aiuti americani e l’Arabia Saudita è paralizzata dalle pressioni cui è sottoposta da troppo tempo. Il rancore verso americani ed israeliani potrebbe trasformarsi in uno più vasto verso l’occidente tutto, accusato di colpevole indolenza. E mentre questa cultura illiberale e prepotente che unisce Washington e Gerusalemme muove le sue mosse, nutrendosi d’odio, di paura e di vendetta, il pensiero vola ai familiari delle vittime di Haifa, al loro appello per un’altra via, alternativa alle armi.