PIOMBINO: DIBATTITO SUL FUTURO «POST LUCCHINI»
Lunedì 6 settembre presso il castello di Piombino è stato trattato interessante dibattito che partiva come spunto dalla tesi di laurea di Francesco soldi dal titolo “trasformazione urbanistica o culturale? Coesione sociale e partecipazione nelle trasformazione del rapporto tra città e fabbrica”.
In una sala che era al completo, con più di 60 persone presenti, tra le quali gli Assessori alla cultura del Comune di Piombino Dellomodarme e alla scuola Tempestini, oltre all’autore della tesi hanno preso parte al dibattito Fiorenza Bassoli, attuale vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia che, come sindaco di Sesto San Giovanni negli anni dal 1985 al 1994, ha gestito importanti chiusure industriali nella città e avviato la prima riconversione; Rossano Pazzagli, professore universitario, ex sindaco di Suvereto ed esponente del Cantiere della Democrazia; Claudio Saragosa, sindaco di Follonica ed esponente della Rete del Nuovo municipio e Aldo Bassoni, direttore di Nuovo Consumo che ha coordinato la discussione.
Ha introdotto la discussione Francesco Soldi che ha illustrato la situazione di Bilbao è quella di Sesto San Giovanni, due realtà che hanno compiuto delle scelte, a confronto con Piombino che invece non ancora imboccato una strada definita.
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Fiorenza Bossoli ha invece illustrato le scelte della sua amministrazione che ha puntato sulla riconversione di Sesto San Giovanni, una città che all’inizio del suo primo mandato aveva già perso il 50% dei posti di lavoro dell’impresa Falk, e ha parlato anche del processo di recupero della memoria storica, per non perdere l’identità e le radici della città e della sua diversità sia localmente che culturalmente e politicamente diversa rispetto a Milano, con la quale ormai è però geograficamente un tutt’uno.
Rossano Pazzagli ha fatto il punto sulle differenze di scelte fra le tre città: nei primi due casi c’è stata riconversione nel terzo invece la realtà è ancora di transizione.
«A Piombino per molti anni si è cercato di conciliare tutto, ma oggi dobbiamo prendere scelte più nette e pensare al “dopo industria” anche se questa è tutt’oggi presente.
Dobbiamo lavorare “per uno sviluppo sostenibile in un’area a declino industriale”.
La fabbrica oggi ci lascia un ambiente più inquinato, meno occupazione e un clima di sfiducia dilagante che porta ad un istinto di fuga dalla città. Dobbiamo recuperare il passato, «il mito della fabbrica», rendendoci però conto che in 20 anni questa ha perso l’80% dei posti di lavoro, e che ha prodotto nella gente e nelle imprese di questo territorio una cultura conservatrice poco propensa al rischio. Atteggiamenti come quelli del sindaco di Piombino Anselmi e dell’assessore all’ambiente Francardi sul non cedere al ricatto ambientale della fabbrica vanno incoraggiati perché riportano nella città un’aria di ottimismo, affinché Piombino diventi una moderna città industriale».
Claudio Saragosa ha invece raccontato della diversificazione di Follonica e dei comuni della Valle del Pecora che fino alla metà del 900 erano basati sulle miniere delle colline metallifere, che oggi non danno nessun posto di lavoro. Il polo chimico del Casone che occupa due grandi Aziende che producono l’80% dell’acido solforico e il 100% del biossido di titanio non danno ormai che pochi posti di lavoro, tant’è che la Solmine occupa non più di 50 dipendenti in un’area che un quarto di quella di Piombino. Questo processo ha dimezzato il numero di abitanti di Massa marittima e Gavorrano, mentre grazie la diversificazione occupazionale (vedi turismo e artigianato) a Follonica il calo demografico è stato meno significativo. Gli amministratori quindi, oltre alle grandi industrie, devono quindi ascoltare di più anche le micro imprese (da tre a quindici dipendenti) che trainano il territorio e che però non hanno forti associazioni di categoria.
Il dibattito che è seguito agli interventi dei relatori si è incentrato sul dovere da parte degli amministratori di dichiarare verso quale prospettiva intendono indirizzare la transizione delle economie locali, in modo da aprire un processo partecipativo capace di accogliere, ed all’occorrenza modificare, le scelte proposte.
In situazione dove le trasformazioni economiche provocano nuove tensioni e marginalità, la condivisione e la coesione sociale sono l’antidoto ad un leaderismo che lascia più solo e più debole di fronte ai “poteri forti” chi è al governo di un territorio.