EDILIZIA: NON FACCIAMO DI TUTTA L’ERBA UN FASCIO
L’edilizia, vuoi per il fatto che è un lavoro manuale, vuoi per il basso tasso di scolarizzazione che spesso è presente tra i lavoratori di questo settore, è sempre stata un importante sensore della nostra società del lavoro, e più che in altri tipi di attività, fa vedere quanto vario è il campione di «personaggi» che occupano questo settore.
I recenti casi di “caporalato” nell’edilizia in Val di Cornia, con un pakistano picchiato per aver chiesto gli stipendi arretrati dopo mesi di lavoro (probabilmente “nero”) in un cantiere di San Vincenzo passato di appalto in subappalto sino a perdere le tracce delle ditte. Un muratore marocchino denunciato come clandestino (quindi “lavoro nero” anche questo) per aver protestato che la paga era la metà di quella pattuita (già più bassa di quella stabilita dai contratti sindacali).
Un imprenditore che scompare (come tutto sommato era apparso, visto che veniva da fuori Piombino e che aveva come sede dell’attività l’appartamento preso in affitto) senza pagare i mensili ai dipendenti, che quando si sono presentati nella sede della ditta-appartamento si era già trasferito.
Sono questi e molti altri i casi di veri e propri imbroglioni che vengono da fuori la Val di Cornia, ai quali però si contrappongono molte imprese serie, quasi sempre della zona, che tengono assunti in regola i propri dipendenti a prescindere dalla loro nazionalità, e che proprio per questo sono continuamente in difficoltà a gestire e pagare tutti i balzelli che Stato, banche, ispettorati vari e casse edili gli propinano tutti i giorni.
Il lavoro irregolare alimenta l’evasione contributiva.
Gli ispettori contributivi Inps operativi all’Elba e in Val di cornia nel 2003 ha permesso di stanare almeno un po’ di questa vergogna: 86,17% di imprese (non solo edili) irregolari; 1.392.464,00 euro di evasione contributiva accertata in dodici mesi, di cui 434.350,00 euro di lavoro nero totalmente irregolare.
Le imprese “oneste”, sempre più spesso, si trovano a dover competere con una concorrenza che talvolta è solo sleale e, sempre più spesso, illegale.
Chi non assicura e mal paga i suoi lavoratori ovviamente può fare prezzi minori anche del 40%, guadagnandoci anche bene, rispetto a chi paga le tasse e tutela i dipendenti della propria impresa.
Per assurdo le attività che si indebitano per essere in regola pagano uno scotto doppio: molte banche, che qui in Val di Cornia sono impegnate solo nel cercare di far applicare «Basilea 2» (un accordo internazionale sui requisiti patrimoniali delle banche che però ricade direttamente sui loro utenti) due anni prima del dovuto, “strozzano” con tassi elevati e spese sproporzionate queste imprese, con direttori relegati alla funzione di indicatori di punteggio (rating), senza più nessuno scopo di esistere, visto che il suo incarico è quello di dare un giudizio complessivo sull’impresa ed essere garante con la direzione generale dell’istituto di credito.
La cosa ha anche importanti risvolti sulla competitività del nostro sistema economico.
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Le banche, nella ricerca affannosa della capitalizzazione a breve termine, continuano ad impoverire le risorse umane di cui dispone la Val di Cornia e a mettere in crisi le imprese che vi operano.
In una periodo congiunturale come quello che abbiamo vissuto in questo ultimo decennio a Piombino e nei comuni limitrofi, applicare i protocolli di «Basilea 2» con due anni di anticipo significa solo incentivare la chiusura di tutte le micro imprese, che già se la passano male come indicato nell’ultimo rapporto del Censis presentato domenica scorsa. Ecco che si scopre come sia quasi chirurgica la precisione con cui le mini-ditte fino a due addetti sono state travolte nell’ultimo trimestre: se la cava appena un po’ meno peggio l’occupazione ma per tutto il resto il saldo negativo è “pesantino”, attorno ai due punti e mezzo.
La chiusura di queste imprese, che ricordiamolo sono sempre state il motore dell’economia nazionale, comporterà un aumento della disoccupazione (virtuale) e contemporaneamente un aumento del lavoro nero (questo invece più che reale) che come un volano, grazie alla concorrenza sleale che di per se chi opera in “nero” fa su chi paga i contributi, taglierà una fetta dei possibili introiti delle ditte regolari che di conseguenza saranno costrette ad effettuare tagli e risparmi.
Il risultato sarà una ulteriore aumento della già stagnante economia di questo territorio.
Che fare quindi? Oltre ad effettuare i dovuti controlli da parte degli enti preposti, che però in Italia colpiscono quasi sempre solo le ditte che lavorano alla luce del sole, l’amministrazione locale deve sbrigarsi a gestire i soldi freschi che potrebbero arrivare sul territorio (vedi ad esempio Lucchini, Porto, Centrogiovani), e contemporaneamente mitigare l’azione degli istituti di credito che vogliono imporre nella nostra realtà locale scelte prese in un paese extracomunitario (la Svizzera).