LE BABY GANG NON SONO SOLO «DISAGIO GIOVANILE»
Abbiamo intervistato Roberta Fabiani, Psicologa e consigliere comunale del Comune di Piombino, che per molti anni ha operato nel centro giovani di questa città e che oggi lavora, sempre come psicologa, presso il centro donna e al Centro per l’impiego Piombinese.
Quale sono secondo lei come psicologa i compiti che deve avere l’amministrazione comunale nei confronti di tutti questi casi di malessere giovanile?
Un Amministrazione comunale ha fra i propri obiettivi quello di preservare la sicurezza dei suoi cittadini, di migliorare la loro qualità di vita, pertanto quello di realizzare strutture e iniziative atte a stimolare la crescita e lo sviluppo di uno standard di vita soddisfacente per ogni cittadino.
Questa ha quindi interesse a promuovere tutte le azioni necessarie ad una crescita adeguata delle nuove generazioni.
Il fatto che a Piombino si siano verificati degli episodi di teppismo non costituisce la causa di tale interesse, sicuramente è motivo di preoccupazione per la nostra amministrazione comunale che impone un’attenzione particolare al fenomeno. A mio parere sarebbe grave dare l’impressione che i “giovani” sono degni di interesse, in quanto una piccola parte di loro ha commesso dei reati.
Questi ragazzi che commettono reati possono essere inquadrati nel semplice «disagio giovanile», o è qualcosa di diverso?
Non possiamo liquidare il fenomeno della devianza inserendolo nella categoria vasta del «disagio giovanile», talmente vasta e generalizzata da risultare offensiva per gli stessi giovani. In quanto ciò significherebbe stigmatizzare un’intera generazione in modo negativo.
«Il disagio giovanile» è caratterizzato da fenomeni “normali” del periodo adolescenziale, quali il rendimento scolastico, problemi relazionali ecc, che, per fortuna, non degenerano nel teppismo.
In questa ottica è necessario sottolineare che il fenomeno della devianza è complesso sia nelle cause ( familiari, sociali, educative, affettive, psichiche ecc.) sia nelle sue implicazioni sociali e personali (danni individuali come nel suicidio e nelle tossicodipendenze, danni sociali come nelle aggressioni e furti). Pertanto le risposte sia in termini di prevenzione che di “recupero” devono essere calibrate sulla persona, sul giovane.
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Come bisognerebbe comportarci in questi casi?
Non esistono ricette pre-confezionate per tale fenomeno. La realizzazione del Centrogiovani, come altre attività sportive che socio-educative non costituiscono le uniche soluzioni possibili, ma devono essere inserite in un ventaglio di offerte all’interno di un programma centrato sulla realtà individuale. La stesura di un tale programma presuppone la conoscenza e il monitoraggio della realtà sociale e del territorio, in tale ottica trova una sua collocazione la figura del poliziotto di quartiere: Tale figura non ha un «compito repressivo», ma ha la duplice funzione di assicurare i cittadini nell’esercizio della propria libertà e dignità e di conoscere la situazione del quartiere. Il poliziotto di quartiere dà un contributo sia nel garantire la sicurezza dei cittadini, sia nella comunicazione con gli organi competenti (ASL ecc), affinché abbiano una maggiore conoscenza delle situazioni individuali problematiche, quindi possono programmare interventi più mirati.
Quali sono gli esempi che deve avere un adolescente per diventare un “buon” adulto?
Vorrei sottolineare che l’adolescenza è un periodo lungo (12-20 anni) e critico, in quanto la persona è impegnata nella costruzione della propria identità. L’adolescente ha la necessità di avere modelli positivi con cui confrontarsi e da «mettere alla prova».
Il ragazzo ha bisogno di un sistema di regole chiare, entro le quali muoversi, che allo stesso tempo possono essere messe in discussione e contrattate con la mediazione di figure adulte autorevoli, democratiche e mature da un punto di vista affettivo ed emotivo e non cronologico!
Se non esistono regole da contestare, è difficile costruire la nostra identità.
Nei casi in cui il processo adolescenziale sfocia nella devianza, spesso, la famiglia è assente (sia come modello positivo, ad esempio i casi di domicilio coatto, con genitori devianti, sia con genitori assenti come qualità affettiva. In quest’ottica le istituzioni, e principalmente la scuola, devono intervenire e supportare il ruolo della famiglia, con azioni che vanno dalla segnalazione del reato alla programmazione di interventi adeguati, compresa la sanzione quando necessario.