VAL DI CORNIA: GRANDI PROBLEMI, NEL DISINTERESSE GENERALE
Pubblichiamo una interessante riflessione di Michelangelo Pasquinelli sulla partecipazione in Val di Cornia.
In tempo di elezioni ci si torna ad infervorare di politica, malgrado prevalga lo scetticismo (per non dire peggio) sui partiti politici e sui vari governi nazionali e locali. Solo in questi momenti risorge il “tifo” per questo o per quelli, alimentato da televisione e giornali, con un argomentare umorale e spesso preconcetto: i giovani per essere tradizionalmente «anti», i meno giovani per dire «si stava meglio quando si stava peggio», per non parlare delle preclusioni ideologiche che portano ancora, anno domini 2005, a dividere il mondo fra “comunisti e fascisti”. Mai, o quasi, si parla o ci si divide – un chiaro segno di democrazia – sui fatti concreti a livello nazionale e locale che ci toccano molto da vicino.
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Questo non succede quasi più nemmeno fra chi fa vita di partito, essendo questi malati di verticismo, di tatticismo e di quell’«ismo» più deleterio di tutti che è l’affarismo. Insomma tra i politici vige l’affermazione dell’«io» e l’occupazione del «posticino buono» al di là di tutto, senza quasi più un dibattito o anche un sano scontro, perché noi cittadini lasciamo fare… Ci annoveriamo, quindi, tra quelli che dicono che le cose sono notevolmente peggiorate: si parla tanto di prima e seconda repubblica, ma, se le poltrone hanno sempre attratto tutti, almeno dietro certe mosse e contromosse politiche una volta c’era dietro anche un dibattito, come la storia repubblicana e dei tanti mutamenti politici e sociali degli ultimi decenni, prima di Tangentopoli, stanno a dimostrare.
In soldoni, si parla delle firme più o meno false della Mussolini, ma fanno pochissimo scandalo le pensioni minime portate ad un milione al mese e poi dimezzate dal raddoppio del costo della vita («percepito»!), così come localmente si lasciano in mano a pochissimi le decisioni politiche importanti sul futuro di città grandi e piccole. Specificatamente in Val di Cornia non esiste nemmeno il dibattito fra maggioranza e opposizione, come almeno esisteva fino a una ventina di anni fa; l’unico esistente è fatto di comunicati ufficiali dei comuni spiattellati pari pari sui giornali senza che appaia un minimo di contraddittorio (quando c’è, è relegato in un angolino), stante l’imperante monocultura politica.
In questi giorni si parla di rilancio dell’istituzione Circondario, ma in che cosa ha davvero avvicinato la provincia ai cittadini? Non è una critica all’esistenza di un ulteriore passaggio istituzionale (con poltrone e poltrocine), ma una semplice esigenza di chiarezza. E’ in ballo il piano strutturale, un’etichetta più accattivante dei vecchi piani regolatori coordinati comprensoriali, ma chi ne parla? Qualche “velina” del palazzo, poco più, oppure, le voci di un confronto e – se necessario – di uno scontro, dove sono? Realtà come Piombino, ad esempio, sono interessate da mutamenti epocali: città futura, la strada per il porto e il suo tracciato (soprelevato, in tunnel, nello stabilimento, al di fuori?), l’ospedale vecchio restaurato e privatizzato, i beni culturali da salvare, la spiaggia di Baratti che scompare, l’assurdità di costruire le case popolari al Cotone (chi paga poco d’affitto sopporta meglio lo smog?), e così via.
E non c’è solo Piombino, con grandi scelte anche nel resto della zona, ma la cosiddetta opinione pubblica che ne pensa? I partiti politici servirebbero a canalizzare e indirizzare il dibattito, ma ora pensano solo a canalizzare i consensi per correntini e correntoni, come prima si dirà, ma senza il dibattito che pur esisteva.
Ma non è solo colpa dei vituperati partiti. Quanto, ad esempio, la chiesa sollecita anche una coscienza civile (i vescovi lo hanno sempre sollecitato) che può essere causa di bene per il prossimo, ben più di scaricarsi la coscienza con un’offerta nei bussolotti in fondo alle chiese o similari? Il bene si fa in tanti modi, prima di tutto difendendo principi generali e particolari di vita e non limitandosi al solito tran tran delle sacrestie. I grandi uomini della Chiesa si sono meritati gli altari soprattutto per il “fare” e nel formare le coscienze di uomini completi.
Tratto da «Toscana Oggi» edizione locale