PIOMBINO: ORLANDO SIMONETTI, ANCORA MORTE ALLA SEVERSTAL
Pubblichiamo un articolo scritto dall’Ufficio della Pastorale Sociale e del Lavoro/ Vicariato di Piombino sulla morte in fabbrica di mercoledì 17 agosto di Orlando Simonetti.
«Ancora una volta dobbiamo registrare la morte di una persona all’interno dell’Acciaieria di Piombino, che detiene ora il non invidiabile record di una morte bianca ogni 3 mesi. Orlando Simonetti esercitava un’attività in proprio ed è deceduto mentre eseguiva una sabbiatura, compito che aveva ricevuto in subappalto dalla Cmpi, una ditta locale la quale a sua volta esegue in appalto dei lavori all’interno dell’Acciaieria Lusid. Non è ancora chiaro se si sia trattato di un incidente o di un malore. Sono in corso le indagini; per il momento è stato appurato che la maschera attraverso la quale il Simonetti avrebbe dovuto respirare aria, priva delle polveri prodotte dalla sabbiatura, era invece collegata all’erogatore dell’azoto, un gas inerte teoricamente non pericoloso, se non entra in contatto con l’acqua dando origine a gas corrosivi.
In attesa dei risultati dell’autopsia, si può però subito affermare che un dato della vicenda riveste comunque una gravità che lascia stupefatti. Il cadavere del povero Orlando è stato rinvenuto ben 15 ore dopo il suo decesso. La morte risalirebbe alle 17 circa di martedì, mentre il rinvenimento ad opera di alcuni operai è avvenuto alle 8 di mercoledì. Quando si è sentito male era solo; nessuno l’ha visto, nessuno lo poteva aiutare, qualunque sia stata la causa del malore che lo ha ucciso. Dentro le Acciaierie nessuno controlla chi entra e chi esce, nessuno sa chi e dove lavora; si è soli e persi tra gli impianti siderurgici ed anche un banale malore può diventare fatale.
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Che fare oltre la comprensibile naturale indignazione cittadina, il giusto sciopero sindacale, le doverose pressioni istituzionali sul rispetto delle regole? La Lusid non ha legami con il territorio inteso sia come ambiente che come maestranze. La Lusid è il prototipo locale del capitalismo odierno, la cui caratteristica principale è la delocalizzazione; va dove trae i maggiori profitti e vi rimane fin tanto che quel territorio gli consente di operare con profitto. Per un’impresa che produce un bene molto maturo come l’acciaio il profitto deriva dalla riduzione dei costi di produzione, non certo dall’innovazione. Pertanto risulta strategico ridurre i costi della manutenzione e del lavoro, ad es. utilizzando la politica degli appalti e dei subappalti e risparmiando sulla formazione del personale. Orlandini conosceva la differenza della presa d’aria con quella dell’azoto? Leke Kolay, l’albanese morto soltanto 3 mesi fa, sapeva come funzionava la tramoggia nella quale si è infilato per revisionarla? Anche sugli investimenti necessari e obbligatori, come quello della cokeria, probabilmente si è “risparmiato”, perché altrimenti non si spiegherebbe come un impianto nuovo risulti tecnicamente imperfetto e dunque ecologicamente problematico.
L’avvento del nuovo azionariato, la multinazionale russa Severstal Joint-Stock Company guidata dal quarantenne Alexey A. Mordashov, teoricamente lascerebbe ben sperare se guardiamo alla burocratica ufficialità delle regole dichiarate. Infatti la JSC Severstal da anni ha sviluppato ed introdotto nei suoi impianti sparsi tra Europa e USA un sistema di protezione e sicurezza del lavoro che è stato nel dicembre 2002 visionato e certificato dalla BVQI (Bureau Veritas Quality International) in conformità alle specifiche internazionali dell’ “Assessment of management systems in the sphere of labour protection and prevention of occupational diseases” (OHSAS-18001:1999). Esistono dunque delle regole, internazionali e nazionali (legge 626); ci sono autorità indipendenti di certificazione del rispetto delle norme e dei protocolli stabiliti. Ciò nondimeno tutta questa costruzione normativa e burocratica è compatibile con le dinamiche di un mercato globalizzato ma asimmetrico nel quale le regole non sono accettate e rispettate universalmente? Gli Stati, ai quali ormai risulta difficile persino il dialogo con la proprietà aziendale che spesso, com’è il caso delle nostre Acciaierie, risiede fuori dai confini nazionali, possono ragionevolmente esercitare forme di controllo e repressione degli abusi e delle inadempienze sulla sicurezza del lavoro?
Noi riteniamo che molte degli antichi strumenti che le istituzioni pubbliche di ogni ordine e grado possedevano per dialogare ed eventualmente coercire il capitalismo sono venuti meno. Uniche possibilità di intervento da parte dei poteri pubblici sono l’intrapendenza e la rapidità decisionale nel costruire i presupposti territoriali per imprese alternative che allarghino la pluralità degli attori economici sì da non sottostare al ricatto occupazionale che grava sulla cittadinanza. La libertà d’impresa, intesa come pluralità di soggetti non come anarchia del singolo imprenditore, potrà consentire alle istituzioni di rientrare da protagoniste nel gioco dell’economia globalizzata. Solo allora sarà possibile iniziare ad uniformare e far rispettare su scala mondiale norme che oggi paiono poco più che vuoti libri dalla bella copertina. L’oligo-monopolio è la vera minaccia alla libertà e dunque alla sicurezza dei cittadini. Da questo punto di vista la dimensione multinazionale e produttiva della JSC Severstal non ci rassicura. Ma non abbiamo pregiudizi e aspettiamo che quanto dichiarato ufficialmente dall’azienda in merito alla sicurezza del lavoro e dell’ambiente diventi realtà. Il vero nodo politico della questione è come rendere compatibile il pluralismo economico con le necessarie grandi dimensioni delle aziende che operano su un mercato globale. Partendo dalla riflessione su questo punto siamo certi che troveremo anche la via per operare significativi cambiamenti nel mondo del lavoro».
Ufficio della Pastorale Sociale e del Lavoro/ Vicariato di Piombino