CAMPIGLIA: PARCHI E CAVE, CONVIVENZA SEMPRE PIU’ DIFFICILE?
Riportiamo integralmente una interessante analisi di Riccardo Francovich, Ordinario di Archeologia Medievale all’ Università di Siena e
Giuseppe Tanelli, Ordinario di Georisorse Minerali all’ Università di Firenze, sulla difficile coesistenza tra Cave di Campiglia e Parco San Silvestro e sulle possibili soluzioni a questo complesso problema.
«La realizzazione del parco archeominerario di San Silvestro (una straordinaria stratificazione di testimonianze storico-monumentali dell’estrazione e lavorazione dei minerali) è frutto dell’interazione tra la ricerca condotta dall’Università di Siena e le politiche urbanistiche del Comune di Campiglia M.ma che, negli anni ’80, stralciò previsioni che consentivano l’apertura di cave a cielo aperto nelle aree minerarie, dismesse sin dal 1976.
Di fatto – continuano i due studiosi – tra interessi economici delle imprese estrattive ed interessi culturali e ambientali, il Comune optò per i secondi acquisendo 250 ettari di aree minerarie e dando avvio ad un complesso programma d’investimenti (oltre 8 milioni di euro, con il contributo dell’UE) che ha portato già nel 1996 all’apertura di un parco, che, dopo dodici anni di scavi archeologici ricerche di superficie e in miniere etrusche medievali e moderne, è apparso di straordinario interesse europeo, tanto da diventare un modello nel contesto mediterraneo (ad esempio Butrinto in Albania, dove opera il World Archeological Department dell’ Università di Norwic in cooperazione con la Fondazione Rothchild e la Banca Mondiale).
Fu invece confermata la cava di calcare sul monte Calvi (circoscritta da un territorio boscato classificato come sito naturalistico d’interesse comunitario), sorta negli anni ‘80 per le esigenze produttive della siderurgia piombinese».
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«Tuttavia – precisano Francovich e Tanelli – per assicurare la possibilità di valorizzare il parco e andare verso l’esaurimento della devastante attività estrattiva, furono imposti termini per la cessazione ed il ripristino ambientale (il 2014) e limitazioni per l’utilizzo del calcare scavato, circoscritto in origine alle sole necessità del vicino stabilimento siderurgico. In sostanza il parco fu costruito per limitare e quindi portare a conclusione nei tempi medi l’attività estrattiva, valorizzando ambiente e patrimonio culturale
Purtroppo, negli anni queste coerenze si sono perse, e certo non ha aiutato il fatto che a distanza di 10 anni dalla sua inaugurazione il parco non abbia un vincolo archeologico complessivo, nonostante la diffusione e l’eccezionalità delle tracce monumentali e dell’attività estrattiva sulla sua intera superficie. Nel 1998 il Comune di Campiglia ha liberalizzato la commercializzazione del calcare sul mercato incrementando volumi e ritmi della produzione; nel 2000 ha approvato un nuovo piano che ha protratto al 2018 i termini di coltivazione. Pressoché inesistenti risultano gli interventi di ripristino ambientale destinati ad attenuare l’enorme impatto della cava sul paesaggio. Nel corso del 2006, inoltre, si sono verificati incidenti gravissimi che hanno messo in evidenza situazioni di pericolo: una mina ha proiettato pietre nel parco, in aree nelle quali si trovavano visitatori che solo per circostanze fortuite non hanno riportato lesioni; un enorme camion, con 1000 quintali di carico, uscendo dalla carreggiata ha provocato la tragica morte del conducente ed è entrato per centinaia di metri nel parco travolgendo sentieri e strade sulle quali transitano normalmente i visitatori, provocando la tragica morte del conducente.
Per questi episodi – continuano – con l’acquiescenza del Comune, sono già stati chiusi al pubblico i settori del parco più vicini alla cava, cancellando pozzi e miniere antiche dalla possibilità di visita. Altri settori del parco sono gravemente danneggiati dai rumori, polveri e microsismi dovuti alle esplosioni di mine che mettono a repentaglio la stabilità e la conservazione dei siti archeologici. Come se non bastasse, sempre nel 2006, su proposta della Società titolare della cava di Monte Calvi, il Comune ha avviato anche una variante urbanistica per consentire la realizzazione di un rilevante progetto industriale che prevedeva, tra l’altro, nuovi impianti di trasporto e di frantumazione all’interno del parco di San Silvestro.Dopo dure critiche di personalità del mondo accademico, di associazioni ambientaliste e di forze politiche, il Comune, alla fine del 2006, ha sospeso la variante poiché è apparso evidente che quel progetto, oltre al rilevante impatto ambientale sul parco, comportava l’ulteriore potenziamento delle attività estrattiva (altri 6 milioni di mc. di calcare) e il prolungamento dei termini di coltivazione (almeno fine al 2026).
Nonostante questi gravissimi episodi, recentemente per altro, il Sindaco ha espresso sulla stampa,in base agli esami di una apposita “commissione”, apprezzamento e soddisfazione per come vengono condotte le cave e per il tempestivo, in qualche caso anticipato, ripristino ambientale «il che – dice testualmente il Sindaco Velo – sgombra il campo da visioni sbagliate sull’attività estrattiva nel nostro comune che, se pure impattante, viene eseguita nel rispetto delle regole». C’è da restare allibiti da queste dichiarazioni che suscitano meraviglia ed amarezza, anche perché chiunque può vedere gli effetti devastanti che le attività estrattive stanno determinando nel territorio a cominciare da quella di Monte Calvi per finire a quella di Monte Valerio dove si stanno distruggendo le residue tracce del sistema minerario di epoca etrusca impiantato per l’estrazione della cassiterite, indispensabile nella produzione metallurgica di quel popolo.
Chiunque può vedere che, in decenni di attività, nelle principali cave del Comune di Campiglia (quelle di Monte Calvi e di Monte Valerio), non solo si stanno progressivamente distruggendo testimonianze minerarie di rara importanza archeologica, ma non vi è traccia significativa alcuna di significativi interventi di ripristino ambientale, nonostante le leggi che obbligano a prevedere contestualmente escavazioni e ripristini; i contenuti del nuovo PIT della Regione Toscana e lo spesso Piano cave appena licenziato dalle Commissioni competenti del Consiglio Regionale.
Se oggi il Sindaco decanta i risultati dell’attività di cava – proseguono i due docenti universitari – che sono sotto gli occhi di tutti i cittadini del Comune di Campiglia, le cose sono due: o i controlli per il rispetto dei piani di coltivazione non vengono fatti con la dovuta attenzione o quegli stessi piani sono gravemente carenti delle più elementari norme della buona pratica estrattiva come evidenziato dalle direttive europee, peraltro recepite e pubblicizzate dalle stesse associazioni minerarie nazionali di buona conduzione.
Così come gravemente carenti sono i piani e gli strumenti amministrativi che consentono il permanere a Montorsi di una concessione mineraria sostanzialmente immotivata, di fatto funzionale alle attività di cava di Monte Valerio, e quelli urbanistici, regionali e comunali, che hanno consentito l’avvicinamento della cava di Monte Calvi al parco archeominerario di San Silvestro (fino a determinare la chiusura di zone sulle quali il Comune stesso ha investito per ricerche e per valorizzazioni culturali) e l’ampliamento della cava di Monte Valerio, da sempre camuffata come miniera, che ha portato alla distruzione dello straordinario sito archeominerario delle Cento camerelle.
Come se non bastasse, sempre nel 2006, su proposta della Società titolare della cava di Monte Calvi, il Comune ha avviato anche una variante urbanistica per consentire la realizzazione di un rilevante progetto industriale che prevedeva, tra l’altro, nuovi impianti di trasporto e di frantumazione all’interno del parco di San Silvestro.
Dopo dure critiche di personalità del mondo accademico, di associazioni ambientaliste e di forze politiche, il Comune, alla fine del 2006, ha sospeso la variante poiché è apparso evidente che quel progetto, oltre al rilevante impatto ambientale sul parco, comportava l’ulteriore potenziamento delle attività estrattiva (altri 6 milioni di mc. di calcare) e il prolungamento dei termini di coltivazione (almeno fine al 2026).
L’insieme di questi episodi mette in tutta evidenza una palese grave contraddizione: lo stesso Comune che, con il sistema dei parchi, ha saputo concepire dal basso un importante progetto di tutela e valorizzazione del patrimonio archeominerario e naturalistico, oggi non sembra in condizione di porre argini all’aggressione speculativa delle cave che distruggono paesaggio e testimonianze storiche. Non è frequente vedere una cava che costringe un parco archeologico, a recedere ma questo sta, purtroppo, accadendo in Toscana.
E’ anche quello di Campiglia è un segnale, come altri denunciati in questi ultimi mesi, della fragilità culturale ed amministrativa che purtroppo sembra caratterizzare localmente anche la Toscana, si diffonde anche in questa regione e che porta a non saper distinguere tra le azioni che l’interesse di chi, per immediate esigenze di mercato spingonoe di profitto, spinge verso la distruzione del paesaggio e delle risorse culturali ( il grande capitale della Toscana) generando assurde e primitive conflittualità fra lavoro ed ambiente, e le azioni che chi, per la qualità dello sviluppo e del lavoro futuro, sollecitano la loro tutela e la loro valorizzazione.
Sono inoltre prossimi i tempi di scadenza degli organi di gestioni della Società di gestione del sistema dei parchi di quell’area (Società Parchi Val di Cornia) ed il loro rinnovo da parte delle Amministrazioni locali, e si staglia inoltre il pericolo che le Amministrazioni locali della Val di Cornia si stiano attrezzando per sostituire alla guida della società l’attuale Presidente. Come se si trattasse di un qualsiasi municipalizzata dove la rotazione è necessaria e doverosa, e questo avviene proprio nel momento in cui i pericoli, denunciati in queste righe, minacciano l’esistenza stessa dei parchi (contro i quali la determinazione del Presidente e del consiglio di amministrazione della Società sono l’unica garanzia concreta), quando si raggiungono obiettivi di eccellenza a livello nazionale nella gestione economica della risorsa culturale e si stanno buttando le basi per una efficace interazione fra mondo della ricerca, sistema della tutela e autonomie locali, grazie alla competenza e al rigore del piccolo gruppo dirigente della Società Parchi Val di Cornia.
Ed è pertanto chiaro – concludono i due ricercatori – che questi episodi non rafforzano le posizioni di coloro che hanno la profonda convinzione che senza l’inclusione e la responsabilizzazione delle istituzioni regionali e dei governi locali, non si può possa raggiungere l’obiettivo di una incisiva politica di tutela e di valorizzazione economica di qualità del patrimonio patrimonio ambientale e culturale. E al riguardo non può che essere apprezzata , l’intesa fra la Regione Toscana e il Ministero dei Beni culturali per l’ applicazione integrale del codice del paesaggio nel nuovo PIT. Ma se si percorre la strada della partecipazione e della autonomia bisogna dimostrare di saperla praticare concretamente e responsabilmente, con idonee azioni di indirizzo e controllo, anche nelle more della nuova normativa».
Riccardo Francovich, Ordinario di Archeologia Medievale all’ Università di Siena
Giuseppe Tanelli, Ordinario di Georisorse Minerali all’ Università di Firenze.