I MERCATI E L’AVVENTO DEGLI INTANGIBLES
Il consolidarsi delle attività dalle forme immateriali nella dimensione d’impresa ha innescato un inarrestabile processo evolutivo dei mercati.
Il complesso evolversi dei mercati, il frenetico sviluppo di nuove mode e di stili di vita, l’avvento di tecnologie rivoluzionarie e l’abbattimento delle frontiere informative : sono solo alcune delle cause che pongono un delicato quesito che coinvolge ciascuno: esiste il rischio che la nozione di valore e le sue determinanti siano ormai obsolete?
di Sebastiano Provenzano
Una cosa è certa: qualcosa è cambiato. A partire dai mercati, sulla strada della concentrazione e della globalizzazione, dall’accesso e ricorso al credito per finanziare perfino i consumi, fino ai gusti, che dettano priorità, ma non rinunciano allo status symbol .
Le distanze si accorciano: il mondo è più piccolo, più piatto ed è l’inglese a sostituirsi alle altre lingue al quale cede anche l’italiano più quotidiano; allorchè il vecchio parrucchiere diventa il nostro “hair stylist”, l’autista il nostro “driver”, la commessa la nostra “shop assistant”.
Troppo moderni noi o forse troppo antichi i nostri precursori.
Sta di fatto che siamo riusciti a contraddire i più grandi protagonisti della filosofia economica e ne è un esempio Karl Marx , testimone del “non esiste nulla che abbia valore senza essere un oggetto d’utilità” .
E’ l’economia degli sprechi e del consumo del superfluo; è l’economia dell’apparenza e delle emozioni. E’ un’economia malata o semplicemente evoluta?
Benvenuti nell’era dove marchi, brevetti e opere dell’ingegno fanno da padroni, dove l’informazione traspare, dove le relazioni con stakeholders possono sensibilmente modificare i conti di un’impresa e il portafoglio prodotti trainare le scelte strategiche. Benvenuti nell’era avanzata degli intangibles.
La perplessità valutativa si nasconde dietro numeri e affermazioni, comunque accomunate da logiche osservazioni e discutibili soluzioni. A sostegno del rapido progresso economico, un primo traguardo è stato raggiunto con l’uniformazione del trattamento contabile, seguita dalla transizione agli standard internazionali, e la nuova parola d’ordine diviene “fair value” e “impairment test” . E’ lo scontro tra l’antica prassi retta sulla “conservazione del capitale” e la “chiave prospettica” della nuova lettura.
Essa si traduce in un evoluto approccio al bilancio, sufficientemente distante dalla tradizione civilistica che lo voleva orientato all’interesse della tutela dei soci e dei creditori, mediante la prudente valutazione, proiettandolo, invece, con una chiave evolutiva (dinamica) , verso un risultato di esercizio, sempre nel rispetto del principio di competenza, quale indicazione delle performance aziendali future . Un risultato che, seppur più prossimo a valori reali, introduce la pericolosa arma della soggettività , propria di chi è chiamato a fornire un numero sostituendolo al termine “fair value”.
E’ uno scacco al valore comunemente inteso; è l’elezione di una nuova misura nel bilancio d’impresa. E’ l’inaugurazione del “prezzo probabile di mercato” .
La preferenza espressa è allora sul valore commerciale, padre del prezzo , ma pur sempre figlio della teoria del valore . E’ un giro di boa che lascia aperti non pochi spunti di riflessione: Cambia qualcosa della consolidata distanza tra prezzo e valore ?
Certo è che seminerebbe tanto stupore quanta paura l’insostenibile idea di dare prezzo (trovando risposta positiva nel mercato) a qualcosa che non possiede valore o comunque considerare il prezzo stesso fonte del valore, un rischio che Thomas Paine ha voluto correre sostenendo che “noi stimiamo poco le cose che otteniamo a basso prezzo: è soltanto l’avere un prezzo elevato che dà a ogni cosa il suo valore” ; di contro non sbagliava il saggio Seneca quando scriveva “marcet sine adversario virtus” , come anche Nietzsche che, seppur a distanza di alcuni secoli, condivide il maggior valore di ciò che è scarso affermando che “non attribuiamo particolare valore al possesso di una virtù, finché non ne notiamo la totale assenza nel nostro avversario”.
Condivisibile o no, un fondo di verità e di ragionevolezza va riconosciuto, ma si badi bene a non lasciarsi catturare, coinvolgere e persuadere da generalizzazioni dai tratti approssimativi e alquanto pericolosi.
Si accende, allora, un dibattito che necessita del recupero di taluni elementi di letteratura economica, al fine di condurre un’efficace analisi su quanto ormai può considerarsi antico, su come individuare la posizione nel sentiero intrapreso già da tempo e sulla chiara individuazione del proprio punto di arrivo.
Sebastiano Provenzano