«DUE PARTITE»: INTERVISTA A FRANCESCA PALLA
Uno spettacolo teatrale sulla donna di ieri, stretta fra rigide convenzioni sociali, e quella di oggi, emancipata ma non per questo realizzata. “Due partite”, testo di Cristina Comencini, sarà messo in scena stasera e domani alle ore 21,15 dall’associazione Nuovo teatro dell’aglio al teatro dei Concordi a Campiglia.
Le quattro attrici protagoniste – Francesca Palla, Delia Demma, Rosa Marulo e Valentina Brancaleone – vestiranno i panni di giovani madri degli anni ’60 durante il primo atto, mentre nel secondo interpreteranno le figlie che, ormai cresciute ed affermate professionalmente, accusano un senso di insoddisfazione che, dopo decenni, non è cambiato. Abbiamo intervistato Francesca Palla che ci dà la sua interpretazione del problema proposto.
Come mai “Due partite”?
Ci è sembrato un testo valido, che affronta bene le analogie e le differenze fra passato e presente. La sfida per noi è quella di riuscire ad interpretare due personaggi diversi, laddove nella trasposizione cinematografica di Enzo Monteleone le attrici, chiaramente, sono otto. Abbiamo portato avanti un doppio studio sulla psicologia di ogni madre e della rispettiva figlia, per riuscire a calarci nella parte: spesso infatti, al di là di alcune somiglianze, l’una è antitetica all’altra.
Tu chi interpreti?
Nel primo atto sono Beatrice, una ragazza sposata da poco e in attesa di una bambina. Rispetto alle altre tre donne, già madri di più figli, Beatrice è la più idealista e innocente, quella che crede nel valore del matrimonio e nell’amore coniugale, e che vede la realtà filtrata attraverso la propria passione per la lettura. Nel secondo atto interpreto la figlia, che non potrebbe essere più diversa: cinica e disillusa, risentita nei confronti del padre, causa, secondo lei, dell’infelicità di Beatrice. Chiaramente un filo doppio lega ogni coppia di personaggi, dal cui confronto emergono le discrepanze fra passato e presente, a partire da quelle più evidenti e forse ovvie: non ci si sposa più, si è alzata l’età del primo figlio, e così via.
Dunque ciò che lega di più madri e figlie è il senso di insoddisfazione, che trascende il tempo. Cosa è o non è cambiato, tanto da giustificare questo?
Senza dubbio l’elemento di novità è che le figlie hanno una vita professionale molto piena, tanto da non avere quasi tempo di incontrarsi. Il problema nasce dal fatto che mentre le donne di una volta erano insoddisfatte in quanto prive di ogni autonomia, anche economica, in un clima di emancipazione, invece, la figura femminile ha potuto realizzarsi spesso a costo di sacrificare la propria natura di madre, tant’è vero che nessuna delle protagoniste del secondo atto ha ancora figli. Credo che lo spettacolo dia più di uno spunto su come il diritto alla maternità si scontri con il desiderio o la necessità di un lavoro, soprattutto se questo è precario.
Qual è il ruolo dello stato in tutto ciò?
Sicuramente dei passi in avanti sono stati fatti, e alcune agevolazioni esistono. Adesso però la divisione dei ruoli fra i genitori non è più così netta come in passato: ad esempio, spesso i padri portano i figli all’asilo perché la mamma è a lavoro. Credo sia anche un bene che esista osmosi: ma a questo punto il problema, oltre ad essere specifico della donna – la questione delle ragazze che non sono assunte perché potrebbero diventare madri-, si estende anche a tutta la famiglia, che forse non è più al primo posto nella scala dei valori.
Cosa rimane da fare per l’emancipazione femminile?
Spesso le donne, nella lotta per l’emancipazione, si sono fermate all’emulazione dell’uomo. Penso che questo sia stato corretto fino ad un certo punto: ci sono esperienze che non sono comuni ai due sessi, come la maternità. Probabilmente è possibile riuscire a valorizzare queste peculiarità, ricercando la parità nella differenza.
Matteo Toffolutti