PIOMBINO: MORTI SUL LAVORO, COSA RESTA ALLE FAMIGLIA?
Finalmente parlano anche loro. Raramente la retorica del cordoglio post mortem lascia spazio alle parole dei familiari dei morti sul lavoro. E’ quanto invece è accaduto al castello di Piombino, in occasione del convegno “Morti sul lavoro: cosa resta alle famiglie”, organizzato dall’Associazione Ruggero Toffolutti, insieme alla famiglia di Giorgio Leoncini, per ricordarne la figura e le idee nel decennale della scomparsa.
All’incontro, che ha concluso il ciclo di iniziative iniziato con il concerto del primo maggio al parco archeominerario di San Silvestro e proseguito con il concorso per giovani scrittori sul tema del lavoro, hanno preso parte Samanta Di Persio, autrice di “Morti bianche”, il magistrato Jacqueline Monica Magi, il presidente della Commissione regionale lavoro Edoardo Bruno e l’assessore alla cultura Ovidio Dell’Omodarme, oltre ad alcuni rappresentanti di Esposti Amianto di Larderello, che hanno chiesto ed ottenuto di poter chiudere la giornata cantando una loro canzone sull’argomento. Tanti i genitori, i figli, le mogli, tutti con il proprio dolore, e tutti apparentemente chiusi in esso. Ma è bastato che Valeria Parrini, presidentessa dell’associazione, offrisse il microfono al pubblico per squarciare il velo: molte le parole di amarezza, disillusione e rabbia, molte anche le lacrime, ma alla fine è stato chiaro ai più che insieme si grida più forte.
Emozione, dunque. Ma non è mancato comunque il momento di analisi, con gli ospiti del convegno che hanno sviscerato il drammatico problema dello stillicidio di vite umane su o a causa del lavoro. Perché, come ampiamente argomentato dalla dottoressa Magi, esiste anche un’altra dimensione nell’universo della cosiddetta morte bianca: quella delle malattie professionali,in alcuni casi neanche riconosciute. «Si tratta di un mondo sommerso – ha spiegato il giudice – che fa vittime inaspettate: sono documentati perfino casi di mesotelioma nelle donne che, lavando le tute dei mariti, sono venute a contatto con l’amianto.E’ per altro un campo in cui ancora si stenta a fare passi in avanti: solo agli inizi degli anni ’90 si riteneva che i morti per amianto potessero essere al massimo un migliaio. Lasciatemi dire che mille casi di morti del genere mi sono capitati già solo in tre anni.>> E ha prospettato come unica soluzione una rivalutazione del concetto di operaio come persona, verso la quale sia sentito prima di tutto il dovere etico di garantire sicurezza e dignità.
«Nel frattempo sarà necessario puntare i responsabili nell’unico loro cuore: il denaro, costringendoli a pagare risarcimenti, per quanto esigui. Non c’è altra via d’uscita, per delle persone che a conclusione di un processo penale non sarebbero mai mandate in galera, ma colpendole nel portafogli, la legge dantesca del contrappasso può ancora far qualcosa».
Non la pensa diversamente Samanta Di Persio, che ha individuato precise responsabilità anche in un sindacato «che vuole fare il salto in politica, lasciando i lavoratori come formiche a combattere contro il mostro». Ha poi dato una nuova lettura dei dati che vedono le morti sul lavoro in calo. «Le imprese continuano ad operare tagli sulla sicurezza, come e più di prima. Se si muore di meno, purtroppo, è perché si lavora di meno: un altro dei “miracoli” della crisi economica».
Matteo Toffolutti