PIOMBINO: BRUNO TINTI PRESENTA “LA QUESTIONE IMMORALE”
Dopo il successo di “Toghe Rotte”, l’ex magistrato, Bruno Tinti ha presentato a Piombino la sua ultima fatica letteraria, “La Questione Immorale”. L’evento, organizzato dal circolo locale di Libertà e Giustizia, si è tenuto presso la libreria “la Fenice” ed ha avuto un buon successo di pubblico.
“Perché per ogni problema giudiziario si da la colpa ai magistrati? Non c’è forse un problema di cattiva informazione sui media e di leggi sbagliate?”. Questa la prima domanda per l’ex procuratore aggiunto di Torino che sceglie di impostare l’incontro come un dibattito aperto e non come il classico monologo. “ Oggi la menzogna regna sovrana nei canali informativi – esordisce Tinti – e tutti i giorni sentiamo parlare di crisi della giustizia e di colpe dei suoi rappresentanti”. “ In Italia i processi hanno una lunghezza esagerata, come sostiene lo stesso ministro Alfano che però promuove delle soluzioni che se approvate non toglierebbero un solo giorno alla lunghezza dei procedimenti”. “Il problema a monte è stata la riforma del 1989 che cambia il processo penale togliendo la validità di prova all’attività di indagine dei pubblici ministeri e prolunga il percorso giudiziario di circa 4 volte!”. “Nonostante questi impedimenti – prosegue il giudice – tutti i processi potrebbero essere celebrati nei 7 anni di durata media attuale, tranne i reati finanziari delle classi dirigenti. Per questi, sono necessari circa 3-4 anni soltanto per le indagini preliminari!”. Ultima, ma non meno importante, questione è l’impostazione della nostra prescrizione, che scatta quando inizia il reato e non il processo, sulla lunghezza dei procedimenti pre-riforma.
Interessante la seconda questione promossa nel dibattito: “Perché, visto che abbiamo preso spunto dall’impostazione del processo americano, negli USA la giustizia è molto più veloce che in Italia?”.
“Fortunatamente non abbiamo “copiato” tutto dagli Stati Uniti che hanno una pessima situazione penale e molti innocenti in carcere – risponde Tinti- e tuttavia siamo riusciti a mantenere quegli elementi che rallentano in maniera inaccettabile i processi.” “ Innanzitutto in Italia c’è la sentenza motivata, cosa che in America non esiste. Inoltre abbiamo mantenuto l’obbligo dell’azione penale ed abbiamo reso la falsa testimonianza un falso reato; basti pensare che oltre oceano chi dichiara il falso rischia fino a 10 anni di carcere mentre da noi si processa per false dichiarazioni solo dopo la fine del procedimento, quando ormai il reato si incammina sui binari della prescrizione”.
Il dibattito prosegue spostando il fuoco dell’attenzione sul decadimento della democrazia e sulla forma possibile da dare ai partiti politici per renderli “davvero democratici”. Tinti risponde alla domanda premettendo che la sua è l’opinione di un uomo della strada e non di un politologo e sottolinea l’importanza della partecipazione civile della gente, l’unica soluzione che può davvero cambiare i partiti e renderli meno inquinati.
L’ultima domanda della giornata riguarda tutti gli elementi di riforma della giustizia di cui sentiamo parlare nell’ultimo periodo: “Cosa s’intende per separazione delle carriere dei PM e dei Giudici? Perché rendere la polizia giudiziaria autonoma dai pubblici ministeri? Che significa rendere il giudice difensore del cittadino e non interprete della legge?”
“ Vorrei partire dall’ultima questione – comincia Tinti – perché è la più controversa.” “ Oggi, una parte politica è convinta che il giudice debba soltanto applicare le decisioni del potere legislativo. Sarebbe possibile solo in un mondo perfetto! L’interpretazione della legge è fondamentale per evitare ogni ambiguità e per dare certezza al giudizio. Il compito principale dei giudici è quello di “calare” le norme nei casi concreti.” “Per quanto riguarda la separazione delle carriere vengono raccontate un sacco di falsità: in primis è assolutamente sbagliato sostenere che giudici e PM facciano due lavori completamente diversi. Entrambi, infatti, seppur a livelli diversi hanno il compito di esaminare le prove a loro sottoposte e di stabilire la validità o meno degli elementi a loro disposizione”. “Chi vuole separare le due figure – conclude l’ex giudice – vuole soltanto controllare i pubblici ministeri e porre un freno legislativo all’obbligatorietà dell’azione penale”.
Andrea Fabbri