INTERVISTA AL SEGRETARIO DELL’UDC LUIGI COPPOLA
Il segretario dell’Udc Luigi Coppola parla dei problemi del rilancio dell’occupazione locale e avverte sui rischi di una concezione del settore turistico come antidoto miracoloso alla crisi economica. Ribadisce poi l’unicità del progetto della Costituente di centro lanciata da Pier Ferdinando Casini, e sulla sentenza europea sul crocifisso nelle aule commenta: «Anche Peppone si fermava di fronte a questo simbolo».
A sei mesi dalle elezioni, quali impressioni ha avuto sul consiglio comunale e sulla giunta?
Credo sia ancora presto per dare una risposta: il Consiglio non si è ancora occupato della discussione di provvedimenti amministrativi concreti, quali il piano strutturale o il regolamento urbanistico. Sicuramente ci sarà tempo, in seguito, per un confronto più serrato. In ogni caso, ritengo opportuno sottolineare come in Italia ormai tutte le assemblee elettive siano state progressivamente esautorate e relegate a un ruolo sempre più residuale. In ambito locale, il potere è concentrato nelle mani del sindaco, e questo perché si è in una certa misura deciso di sacrificare la rappresentatività democratica sull’altare della governabilità. A Piombino, poi, la figura di Anselmi, essendo particolarmente autorevole, emerge costantemente, talvolta togliendo il dovuto spazio agli assessori. Questo elemento mi rende piuttosto difficile dare un giudizio sulla giunta.
Settore turistico: ritiene che l’amministrazione si stia muovendo nella giusta direzione?
Cosa non è stato fatto o fatto male?
Di fatto in Italia non c’è mai stata una politica turistica seria: spesso si riscopre questo settore come panacea contro le crisi economiche, senza un impegno continuato. Sotto il profilo tecnico siamo praticamente sprovvisti di una legislazione autorevole che identifichi le varie competenze: è naturale che questo vuoto normativo consenta il diffondersi di strutture ricettive non qualificate, che finiscono per inquinare il mercato. La mancanza di controlli ha fatto sì che, in alcune zone del nostro territorio, quelle che sono di fatto seconde case, non affittabili a terzi, siano diventate dei villaggi: una mancanza che rischia di penalizzare gli operatori seri. Se poi l’incremento delle presenze è senza dubbio un dato positivo, è necessario leggerlo alla luce del fatto che molti turisti sono ospiti di strutture ricettive all’aria aperta, e questo anche per una mancanza di diversificazione delle offerte. E’ chiaro, insomma, che per il turismo servano interventi precisi, che uniscano le esigenze degli operatori alle istanze di tutela ambientale. In questo contesto, un ruolo importante può essere giocato dalla Società dei parchi, purché si muova nel solco di una totale autonomia politica.
Quali sono le vostre proposte per risolvere il problema dell’occupazione locale?
Il problema è grave, e non esistono scorciatoie, specie alla luce degli errori compiuti in passato, e che stiamo ancora scontando. Occorre trovare delle soluzioni che consentano la convivenza del settore turistico e di quello industriale, senza la velleità di sostituire l’uno all’altro. Sarebbe buona cosa partire stimolando ciò che già esiste nel settore turistico, combattendo allo stesso tempo il degrado ambientale: quest’ultimo, però, è un problema che è possibile affrontare con fondi che solo il governo può garantire. Tutto ciò sempre con l’idea che le bonifiche sono un diritto, e non una concessione, e che sono indispensabili per elevare gli standard di vita dei cittadini e migliorare l’impatto dell’industria sul territorio. Andrebbe poi sviluppata una filiera alimentare basata sulle nostre colture tipiche, con interventi pubblici e privati a promozione di questo settore, ma ancora una volta, senza cedere alle facili promesse elettorali di eliminazione dell’industria.
Come giudica il ritorno ai quartieri?
Come ho avuto modo di specificare in consiglio comunale, non lo ritengo una priorità, ma se quartieri hanno da essere, che si affronti la tematica in modo serio ed autorevole. Abbiamo espressamente chiesto l’elezione dei membri dei quartieri. Invece, insieme ai consiglieri di Rifondazione comunista e del Polo di centrodestra, siamo stati isolati, da parte di PD e PdL, come anacronistici, quasi reazionari. Ma in effetti, in una regione come la nostra, chiedere di poter eleggere i propri rappresentanti sembra diventato un esercizio superfluo di retorica democratica, mentre, evidentemente, per qualcuno sono le nomine la quintessenza della volontà popolare. In ogni caso, credo che già fra un paio di anni saremo in grado trarre le dovute conclusioni su questa decisione blindata.
Uno sguardo alla politica nazionale: come valuta la fuoriuscita di Rutelli dal PD? E quali sono in Italia le prospettive di un nuovo partito di centro, quello che Casini ha chiamato “Partito della nazione”?
E’ indubbio che l’elezione di Bersani abbia spostato a sinistra l’asse del Partito democratico. Se Rutelli ha deciso di abbandonare il partito che egli stesso aveva contribuito a fondare sciogliendo la Margherita, ciò significa che lo spazio moderato all’interno di quel soggetto ha incontrato ed incontra oggettive difficoltà di affermazione. Un esempio lampante ci è fornito dai temi etici: molte sono le posizioni fra i democratici, ma quelle centriste sono spesso fortemente minoritarie.
Di contro, la nostra prospettiva è quella del Partito della nazione, destinato ad intercettare quel vasto elettorato moderato insofferente nei confronti del populismo della Lega e del partito di Berlusconi, così come verso quello dell’Italia dei valori. La strada non è semplice: abbiamo affrontato il mare aperto delle elezioni del 2008 rischiando la sopravvivenza politica. Alla fine, però, abbiamo visto fallire non solo il tanto sospirato bipartitismo, ma anche un bipolarismo ormai malato. Rutelli sembra aver accettato un rischio simile al nostro, rinunciando alle poltrone sicure in seno al Pd.
Secondo lei ha ragione Berlusconi quando dice che l’UDC è un partito naturalmente di centro-destra?
Il nostro è un partito chiaramente alternativo alla sinistra per valori e princìpi, ma a dividerci da questa destra c’è una visione delle istituzioni che è totalmente diversa. In linea di massima posso dire che le nostre sensibilità etiche ci avvicinano al Popolo della libertà, ma questioni sempre più urgenti sulla democrazia e sul senso dello Stato contribuiscono ad allontanarci ogni giorno di più. Detto esplicitamente: non crediamo ai partiti-proprietà e alla logica delle nomine dall’alto, ma in questo purtroppo ci troviamo sempre più isolati dai due poli. Basti pensare alla nuova legge elettorale della Toscana, creata ad hoc per favorire la maggioranza e la frangia più consistente dell’opposizione, senza introdurre le preferenze. Non a caso, è stata approvata con un accordo PD-PdL.
Se a livello nazionale dovesse esserci un riavvicinamento fra il suo partito e quello di Berlusconi, crede che a Piombino cambierebbe qualcosa?
Per il momento a livello nazionale il nostro obiettivo principale è quello della Costituente di centro, che non prevede avvicinamenti, quanto piuttosto una condivisione di intenti. Il nostro compito è quello di render conto ai nostri elettori degli impegni presi con loro. Stessa cosa vale per Piombino: restiamo dove siamo, e posso affermare che stiamo comodamente nei nostri panni.
Crocifissi nelle aule. Come giudica la sentenza europea? Quel è, secondo lei, la differenza fra crocifisso come simbolo religioso e crocifisso come simbolo tradizionale?
La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è un grave atto di intromissione nella cultura e nella tradizione di uno stato sovrano. Non credo sia il caso di invocare la resa dei conti fra laici e cattolici: sarebbe invece bene che tutti insieme difendessimo l’identità del nostro paese, che passa anche attraverso questo simbolo religioso.
Si pensi alle festività occidentali: sono di una matrice cristiana condivisa che va al di là delle convinzioni individuali. Stesso discorso vale per il mondo dell’arte. Togliere il crocifisso dalle aule rappresenterebbe tutt’altro che un atto di giustizia: sarebbe una violazione di quel principio stabilito fin dai patti lateranensi che vede nel cattolicesimo una pietra fondamentale nel patrimonio culturale, oltre che religioso, del popolo italiano. Personalmente invito tutti coloro che si definiscono laici per eccellenza a guardarsi qualche film di Don Camillo e Peppone: si ricorderebbero che un tempo, nonostante gli asperrimi scontri ideologici, di fronte al crocifisso si fermavano tutti.
Matteo Toffolutti