CONTRO LA MEMORIA DEL MALE, VINCE SOLO L’AMORE
Le riflessioni di tre scrittori al Mandela Forum di Firenze il 27 gennaio 2010. Ottomila ragazzi arrivati dalle scuole superiori tutta la regione per partecipare al Giorno della Memoria organizzato dalla Regione Toscana. Hanno cominciato a scendere alle 8.30 da più di 150 pullman per assistere alla mattinata di riflessioni, memorie, testimonianze intitolata “La banalità del male” e aperta dalle note del “pifferaio magico” Enrico Fink.
Un 97enne pieno di humour e di energia che raccomanda alla folla di studenti toscani del Palamandela «ragazzi non lasciatevi infinocchiare: studiate, studiate, studiate». E a loro affida il racconto di «cose poco note», a partire dalla vicenda della minoranza slovena a Trieste, cancellata, annientata dal fascismo. Nel Giorno della memoria c’è lo scrittore Boris Pahor ad ottemperare al “dovere di ricordare” dal grande palco centrale. «Avevo sette anni – inizia a raccontare – quando, insieme alla mia sorellina che ne aveva quattro vidi dare alle fiamme a Trieste la casa della cultura slovena e altri edifici vicini. Era il 1920. Lì il fascismo è arrivato prima, è il fascismo “barbaro”, avallato e incitato da Mussolini e coincide con il razzismo antislavo. Inizia così la cancel lazione di una minoranza. Vengono chiuse le scuole slovene, proibiti giornali e libri, italianizzati i nostri nomi e cognomi. Noi scompariamo, non ci siamo più. Dal giornale “Il popolo d’Italia” veniamo definiti cimici, perché come le cimici siamo un popolo senza nazionalità. E Mussolini dà l’ordine di far fuori tutti i maschi di questa “genia”. Crimini di guerra insabbiati che pongono una questione fascista prima di quella nazista».
La testimonianza di Boris Pahor affronta poi capitoli successivi, quelli della “macelleria politica” della Risiera di San Sabba a Trieste, con corpi appesi ai ganci come bestie, e quelli della deportazione nei campi dei “politici”, che avevano come marchio il triangolo rosso – descritti nel suo libro “Necropoli” – dove “dovevamo lavorare anche se malati o feriti o sfiniti, fino al momento in cui si passava alla “posizione orizzontale”, alla morte. Dopo l’8 settembre 1943 paesi interi, bambini, donne, lattanti, vecchi vengono mandati al lavoro coatto. «Il mio primo campo – ricorda ancora Pahor – fu in Alsazia. Era fatto a terrazze. In alto c’era la forca e in basso il forno crematorio che bruciava giorno e notte, soprattutto quando aumentavano i casi di diarrea tra i deportati. E le fiamme a forma di tulipano che si alzavano dal forno mi ricordavano quell’incendio della mia infanzia a Trieste che aveva acceso il terrore dittatoriale che aveva poi contaminato l’Europa».
«State attenti, ragazzi e ragazze – ha concluso lo scrittore triestino – e ricordatevi che c’è una sola forma di salvezza per il mondo di domani. Qual è? E’ l’amore».
Dopo Pahor, la parola – via video – è passata al Imre Kertesz, premio Nobel per la letteratura nel 2002: «Ad Auschwitz – ha detto lo scrittore ungherese, autore di “Essere senza destino”, nelle sue affascinanti riflessioni – collabori con il potere che ha l’obiettivo di ucciderti. Per sopravvivere conosci i meccanismi dello sterminio che poi neghi. Con le fiamme che uscivano dal camino dei forni crematori, al posto della cultura europea si è creato il vuoto totale, il vuoto di valori che ha prodotto lo sterminio. E’ questo il problema universale posto da Auschwitz».
«Il male non è mai banale. Non credete dunque alla banalità del male. Ciascuno sa cos’è il dolore, anche un bambino di tre anni. E se fa del male a qualcuno è consapevole del male che procura».
E’ stato il grande scrittore israeliano Amos Oz a chiudere la mattinata del Giorno della Memoria e a lanciare alle migliaia di studenti riuniti al Pala Mandela di Firenze un grande messaggio. «Vi propongo di fare un patto di ferro – ha detto – non fate mai male a nessuno. La vostra generazione mi dà una grande speranza. Avete tre meravigliosi patrimoni da tutelare saldamente e tenere cari: la pazienza, la curiosità e il senso dell’umorismo. Non ho mai visto un fanatico con il senso dell’umorismo né un uomo con il senso dell’umorismo diventare fanatico. Il senso dell’umorismo è il nos tro vaccino contro il male. Una persona curiosa, paziente e che sa ridere di sé non manderà mai nessuno alla camera a gas».
Pochi minuti dopo lo scrosciante applauso dei giovani, il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha consegnato all’intellettuale le chiavi della città di Firenze. «Da una città paziente, curiosa e con il senso dell’umorismo – ha commentato il primo cittadino porgendo l’omaggio a Oz –. Ragazzi, oggi la Regione vi ha fatto un grande regalo, siatene degni e portatelo con speranza».