CON «CORRISPONDENZA NEGATA…» IL MANICOMIO IN TEATRO
San Vincenzo – Con lo spettacolo “Corrispondenza negata… il lato poetico della mente”, portato in scena al Teatro Verdi di San Vincenzo venerdì 20 aprile, il Piccolo Teatro della Versilia si è cimentato con il non facile compito di dare una voce a chi, per tanti anni, non ne ha avuta.
Ispirandosi al libro-denuncia “Corrispondenza negata. Epistolario della nave dei folli” ed. Del Cerro, questa pièce si propone di accendere l’attenzione sulla condizione dei malati di mente, sin dai tempi dell’esistenza dei manicomi.
Originale l’apertura dello spettacolo: un’equipe di medici-attori accoglie “schedando” gli spettatori nel manicomio-teatro, al fine di creare ironicamente un varco tra la normalità e il mondo della malattia mentale e degli ospedali psichiatrici. All’ingresso il pubblico è entrato uno alla volta, come se si entrasse nel Manicomio di Volterra. Delle signore con il camice bianco hanno fatto subito sulla mano dei partecipanti il timbro dell’OPV, poi hanno fatto la foto per “schedarli” e hanno dato a tutti delle pilloline calmanti (zigulì alla banana). Una volta che il pubblico era seduto ai propri posti, le “infermiere” continuavano agirare prima dell’inizio per la platea a controllare lo stato di salute psichica dei presenti.
Con l’inizio dello spettacolo vero e proprio l’ilarità ha lasciato il posto alla riflessione ed alle emozioni, grazie alle toccanti letture delle corrispondenze ritrovate tra i documenti del manicomio di Volterra. si tratta di lettere scritte dai pazienti ai familiari e mai spedite dal personale medico, dalle quali emergono il dolore e il senso di abbandono provato da queste persone svuotate del tutto della loro identità.
Sul palco Serena Martinelli, insieme ad un gruppo di attori della compagnia, da vita ad un impegnativo confronto tra normalità e malattia, tra libertà di espressione e censura, che non può non spingere a riflettere sulla condizione degli internati dei manicomi, tema tutt’oggi tenuto ancora piuttosto in ombra, nonostante fatti come la proposta di chiudere gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, a fronte della scoperta delle condizioni disumane in cui vivono ancora gli internati.
Ad arricchire questo spettacolo svariate forme d’arte che si intrecciano tra di loro, come a confermare l’inesistenza di un unico linguaggio adatto a raccontare queste storie: dalle musiche di L.Reed; Shostakovich; P.Smith; N.Simone; R.Aubry; G.Faure’, ai video di Claudia Sodini, passando per i dipinti di Lorenzo Viani e le foto storiche dei manicomi.
Lo spettatore si trova dunque di fronte a una rappresentazione coinvolgente e ricca di contenuti che, nonostante la delicatezza e la particolarità del tema, non scivola mai nella retorica e lascia più di uno spunto di riflessione.
Irene Caroti