MUROLO: POPULONIA CITTA’ DEL DIO DEL VINO

Cinzia Murolo

Cinzia Murolo

Abbiamo intervistato Cinzia Murolo, curatrice del museo archeologico del territorio di Populonia e del museo del castello sulle recenti iniziative e novità del museali piombinesi.

D – Recentemente ha curato una iniziativa su Fufluns (il nome etrusco per Bacco e Dioniso) il vino e Populonia… potrebbe illustrarci meglio cosa lega il dio del vino con Populonia e la Val di Cornia?

R – Il dio etrusco del vino, Fufluns, è il corrispettivo di Dioniso che non era solo il dio del vino, ma anche della sfera irrazionale, contrapposto ad Apollo, campione della razionalità. La coltivazione della vite era già presente nell’età del Bronzo, ma gli Etruschi, sempre su influenza dei coloni greci, innestarono le loro viti migliorandone la qualità e soprattutto adottarono il complesso rituale della preparazione del vino.

Populonia, l’antica Popluna/Fofluna, ha nel suo nome la radice del nome Fufluns, che indicherebbe il germoglio della vite. Plinio del resto ci parla di una statua di Giove intagliata nel tronco di una vite vecchissima e per questo enorme. Populonia, ma soprattutto il territorio retrostante sotto la sua influenza (ricordiamoci che dove oggi ci sono campi coltivati, una volta c’era l’enorme stagno di Piombino) coltivava vigneti, che come sappiamo hanno bisogno di un buon clima e di una vegetazione ad alto fusto per potersi arrampicare. Il dio del vino era particolarmente caro a Populonia, la signora trovata sepolta alle Grotte (nella cosiddetta tomba 14) era molto probabilmente una sacerdotessa di questo culto che era affidato principalmente alle donne, molto più propense degli uomini a perdere la razionalità…  Se guardiamo poi i corredi populoniesi, vediamo che le suppellettili da simposio la fanno da padrone, tanto nelle sepolture maschili che in quelle femminili. Un falcetto trovato nella zona di Poggio all’Agnello poteva servire alla potatura delle viti che, come oggi sappiamo, erano avvolte su tutori naturali (le cosiddette lambruscaie).

D – Ci può dare qualche numero sul museo del territorio di Populonia per farci capire l’importanza dei beni contenuti nello stabile?

R – Il Museo ospita oltre 2000 reperti, senza contare quelli non esposti e conservati nel laboratorio di restauro. Alcuni di questi sono pezzi unici. Non mi riferisco soltanto alla celeberrima anfora di Baratti, un capolavoro della toreutica di IV secolo dopo Cristo e  simbolo del museo, ma penso anche a un gruppo di armi concrezionate di periodo etrusco trovate anni fa durante una mareggiata sulla spiaggia di Baratti, di cui non abbiamo confronti, oppure al mosaico cosiddetto dei Pesci, che la volontà del suo committente di far inserire al mosaicista una scena di naufragio ha reso un pezzo unico.

O come i cilindretti del relitto del Pozzino, per adesso esemplari unici al mondo, che le moderne indagini chimiche e genetiche hanno rivelato essere contenitori di antiche medicine… ma la bellezza di questo museo è la sua comprensibilità, anche per un pubblico non edotto, e per i bambini. I pannelli, le ricostruzioni di paesaggio e di contesto aiutano e vivacizzano la visita. Non lo diciamo solo noi, ce lo testimoniano i numerosi commenti lasciati sul “Libro visitatori”. Molti al termine della visita rimangono piacevolmente stupiti di aver trovato un museo simile in una città di provincia come la nostra.

D – Ci sono novità sul contenuto dei cilindretti di legno e stagno rinvenuti nel relitto del Pozzino e analizzati di recente?

R – Certo. Prossimamente il 12 giugno, a Palazzo Vecchio, saranno presentati i risultati delle ultime indagini chimiche sul contenuto di questo eccezionale ritrovamento, avvenuto negli anni ’80, a bordo di un nave naufragata 2200 anni fa a largo della spiaggia del Pozzino. In particolare, in un contenitore di stagno, è stata analizzata “una compressa” originariamente avvolta nel lino, composta di zinco, cera d’api, olio di oliva, resina di pino e amido. Questo medicinale è il precursore del moderno collirio, come ci tramandano le fonti antiche, in particolare Plinio il Vecchio e Discoride.

Questa ricerche, coordinate dalla Soprintendenza archeologica della Toscana, sono state pubblicate su di un’importante rivista scientifica americana, Il PNAS, e hanno fatto il giro del mondo (vedi allegato). Precedentemente anche lo Smithsonian Institute di Washington aveva condotto proprie analisi di tipo genetico, rivelando quali erano le piante contenute nei cilindretti, piante ancora oggi utilizzate a scopo medicamentoso. Quei risultati, dopo essere finiti sulle maggiori riviste scientifiche mondiali, sono stati presentati al museo due anni fa, in occasione del decennale.

 

D – I convegni sono importanti, ma qual è secondo lei il metodo migliore per comunicare al pubblico i contenuti del museo, che normalmente sarebbero accessibili a pochi?

R – Ovviamente ci sono vari livelli di fruizione. Personalmente mi piace lavorare con i bambini e le famiglie, creare assieme ai miei colleghi dei Parchi percorsi formativi e al tempo stesso divertenti. Penso per esempio ai laboratori e alle animazioni. A primavera per esempio, grazie a un finanziamento regionale, siamo riusciti a coinvolgere alcune classi delle scuole superiori di Piombino, un target difficilmente intercettabile, creando un progetto sull’edilizia antica, dal periodo etrusco a quello medievale.

In questi la Val di Cornia è un contesto privilegiato con il suoi parchi e i suoi musei, dove possiamo trovare filoni tematici comuni. Spesso chi vive in Val di Cornia non si rende conto della ricchezza del nostro patrimonio, veri laboratori a cielo aperto, ma chi viene da fuori si! Quindi, dal momento che i ragazzi di ora saranno i cittadini di domani, questo è il metodo migliore per far sì che nel futuro tutelino queste risorse, perché le hanno conosciute in tutte le loro potenzialità.

Giuseppe Trinchini

Scritto da il 30.5.2013. Registrato sotto cultura, Foto, ultime_notizie. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

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