LUCCHINI: SE SALTA L’ALTOFORNO, 500 POSTI A RISCHIO
Piombino (LI) – Altoforno Lucchini a rischio a partire dalla metà di settembre a meno di una sinergia con gli impianti ILVA di Taranto per la produzione di bramme. E intanto i sindacati scendono in campo dando il via alle proteste, con uno sciopero-manifestazione per venerdì 26 luglio.
Il problema, come illustravamo in altro articolo, è che la Lucchini è in riserva e la luce segna rosso fisso. «L’azienda è giunta “stremata” alla Amministrazione Straordinaria e con limitate possibilità di Intervento» precisa il commissario Piero Nardi. A partire dall’inizio della crisi dell’ottobre 2008 fino al 21/12/2012 , Lucchini ha ridotto le vendite di laminati da 1,5 milioni di tonnellate a meno di 1 milione ed ha azzerato le vendite di bramme ( allora pari a 400 mila tonnellate),“bruciato” cassa per 800 milioni di euro, azzerato il patrimonio netto a fine 2012, partendo dai 970 milioni dell’ottobre 2008 tagliato tutti gli investimenti strategici, limitandosi a quelli per manutenzioni, sicurezza e ambiente.
Tutta la preoccupazione è stata espressa ieri dai segretari di Fim, Fiom, Uilm e dai coordinatori Rsu, durante il consiglio di fabbrica che si è tenuto all’indomani dell’incontro ritenuto deludente, che c’è stato a Roma al Ministero dello sviluppo economico, durante il quale Piero Nardi, commissario Lucchini ha preso tempo per la presentazione del piano di programma (il 15 settembre) ma ha spiegato le quattro ipotesi propedeutiche alla cessione: cedere l’altoforno insieme ai laminatoi. Oppure i laminatoi con il forno elettrico. Si è parlato di «spezzatino», con la cessione dei soli laminatoi, oppure dei singoli impianti.
Tutte le ipotesi sono però state “bocciate” dai sindacati, considerando il fatto che con ognuna di queste soluzioni porterebbero alla perdita di circa 500 posti di lavoro. Per questo hanno invocato ancora una volta la convocazione in tempi rapidissimi dei due commissari straordinari Nardi e Bondi per l’Ilva di Taranto.
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GELICHI: A PIOMBINO SERVONO SCELTE
Riceviamo e pubblichiamo dalla lista civica “Ascolta Piombino”.
“Piombino non deve chiudere”, vogliamo dirlo? Che ci vuole, possiamo andare in cima alla rinnovata Piazza Bovio e urlare ai quattro venti che Piombino non deve chiudere, ma poi servirebbe a qualcosa?
O forse sarebbe meglio intraprendere da subito un percorso di trasparenza sulla questione Lucchini, valutando di dover affrontare anche le ipotesi peggiori, cercare con il Governo Nazionale le migliori soluzioni per portare questo territorio ad un processo di riconversione industriale prima che sia troppo tardi.
L’obiettivo principale oggi è il mantenimento dei livelli occupazionali, e questo si può fare solo con un progetto complessivo che non può venire da Piombino, ma da tecnici professionisti che parlano alle aziende e valutano gli interventi, i quali attraverso conferenze dei servizi e accordi di programma graduati mettono in campo le migliori soluzioni, ma soprattutto le risorse economiche per infrastrutture, bonifiche e formazione lavoro.
Se non si fanno decollare al più presto gli accordi previsti per le aree di crisi complessa come la nostra, urlare servirà solo ad affievolire la voce.
Non è più il momento dei proclami e delle speranze buttate sul tavolo, chiediamo al PD che governa di dare spazio ai professionisti, fatevi dire cosa serve al territorio oggi, abbandonate le piccole logiche localistiche e affidatevi al Ministero dello Sviluppo Economico, monitorando con i nostri specialisti, che ci sono, l’andamento di un programma che purtroppo, drammaticamente ancora non esiste.
Riccardo Gelichi
Portavoce della Lista Civica Ascolta Piombino
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UDC: LA FINE DEL CICLO INTEGRALE E’ VICINA
Riceviamo e pubblichiamo integralmente dall’UDC di Piombino.
«Lo stabilimento Lucchini oramai è come un pugile arrivato all’ultimo round che ha incassato molti colpi e non ha più energia per arrivare alla fine dell’incontro.
Purtroppo questa situazione di incertezza si è protratta per troppo tempo ed alla fine c’è il serio rischio che si debba scrivere la pagina peggiore per il secondo complesso siderurgico italiano.
Nessuno ha il coraggio di dirlo apertamente, ma l’area a caldo è condannata e difficilmente ci sarà la possibilità di salvarla, i costi sono troppo elevati e non vi sono imprenditori disposti ad investire somme elevate, qualora vi fosse qualcuno concretamente interessato agli impianti di Piombino.
L’ora sta arrivando, dopodiché non vi sarà più tempo utile per i proclami plateali, tanto meno per concreti interventi, senza certezze a breve termine inesorabilmente si apriranno scenari pieni di incognite.
Le proposte in campo perseguibili sono poche e tutte difficilmente sostenibili, oltretutto non ci sembra neanche che l’attuale governo sia nelle condizioni di poter aprire una nuova fase per la politica industriale di questo paese oramai inesistente da oltre 30 anni.
In effetti il mantenimento dell’area a caldo è insostenibile, se non da un preciso intervento pubblico e per far ciò sappiamo bene che oltre al progetto servono risorse elevate che purtroppo sono sempre meno disponibili.
Un’eventuale collaborazione con Taranto sarebbe un palliativo utile a far passare alcuni mesi, ma alla fine comunque non potremmo continuare a rimandare.
Sull’area a caldo serve subito chiarezza di fondo, sapendo che se riuscisse a sopravvivere sarebbe un risultato eccezionale ed imprevisto, ma che ora è il momento di pensare anche ad una soluzione possibile che non la preveda.
Di fatto a settembre la fermata che potrebbe esserci, salvo eventuali possibilità produttive, rischia di sancire la fine dell’area a caldo, da li’ in poi le incognite lascerebbe lo spazio a poche speranze».
Luigi Coppola
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