«ACCIAIO» ALLEGORIA DI PIOMBINO
L’EDITORIALE di Giuseppe Trinchini
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Corriere Etrusco “numero 17” del 26 Luglio 2013.
Uscito nei cinema il 15 novembre dello scorso anno, «Acciaio» di Silvia Avallone si appresta ad entrare nelle case degli italiani in DVD e Blu-ray a partire dal prossimo 26 settembre 2013.
Guardando il film comodamente seduti sul divano si potrà apprezzare o criticare la recitazione, il simpatico slang, tra il piombinese e il tarantino, del bravo Michele Riondino, oppure fomentare nuove polemiche sul fatto che Piombino è una città “orgogliosa” e non è come è stata descritta da Silvia Avallone, e così via…
Quello che invece mi ha incuriosito, aldilà delle facili polemiche, sono le espressioni usate dai protagonisti, che cercano di trasmettere la Piombino immaginaria descritta nel libro. Dove la fabbrica è grigia, la città è grigia, le vite sono grigie e, se si cerca di viaggiare con la mente, di andare fuori per un po’, l’unica cosa lontana, ma vicina, è l’isola d’Elba: da lì, si può avere un punto di vista differente di Piombino, una città dove due ragazze sognano un futuro diverso e dove altri ragazzi più adulti usano quella realtà per cambiare qualcosa.
Ma la Piombino di oggi non è più quella “città fabbrica” descritta dalla Avallone, ma sta diventando qualcosa di diverso e ricco di contraddizioni.
Una città che cerca di lanciare una “movida” notturna ostacolata però dagli anziani e dai residenti che non vogliono il rumore. Una città che “caccia” le barche dal piazzale d’alaggio per poi trasformarlo in stabilimento balneare, in cui, come nelle rotonde tanto volute dal sindaco, l’erba è tutta di plastica.
Piombino una città non più d’acciaio ma di plastica quindi? Forse. Di sicuro è di plastica il sogno della fabbrica infinita, degli slogan e delle speranze in un futuro che immutabile non sarà più. I sogni dei nonni e dei padri si stanno infrangendo nell’incapacità di gestire il futuro dell’acciaio… dove manager rampanti hanno spremuto lo stabilimento come un limone, e oggi, purtroppo o per fortuna, a seconda degli interessi in campo, in troppi annunciano la fine del ciclo integrale.
Una Piombino dopo più di cento anni, senza l’altoforno che Piombino sarà? Sapranno i piombinesi ricollocarsi in un mercato sempre più complesso? E poi quali piombinesi? I giovani cervelli stanno tutti fuggendo da questo territorio, impoverendo la città del loro valore aggiunto. La politica, vero motore storico della vita attiva dei piombinesi, ha chiuso da troppo tempo le scuole di partito e si affida agli ”uomini salvifici” e agli “Yes Man”. Perfino le navi per l’Elba hanno perso la scritta blu Toremar come nel film, e preso i colori rossi del nuovo padrone “Moby”.
Le frasi simbolo del film “cosa farai da grande? Andrò in fabbrica, è un lavoro sicuro”, oppure “Passa da un padrone all’altro ma la fabbrica è sempre li” sono li a testimoniare un cambiamento in atto che in pochi stanno cogliendo. E ancora “Dicono che per noi giovani qui non ci sia futuro, non ci siano possibilità, che tutto sia in mano ai vecchi, mi chiedo perché il futuro deve essere sempre altrove, da un’altra parte”.
I vecchi citati nel film sono davvero ancora li, sembrano l’unica cosa che non cambia in una città dove volenti o nolenti il cambiamento è già dietro l’angolo. Hanno seminato poco o nulla dietro di loro, e di sicuro non sapranno gestire le “rivoluzioni” che stanno per avvenire, e che fanno apparire il film “Acciaio”, a due anni dalle riprese, un film “storico” e quasi un’allegoria della Piombino di oggi.
Giuseppe Trinchini
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bravo giuseppe
Quali giovani cervelli? La crisi siderurgica è presente dal 1992 e nessuno ha fatto nulla e ci si sono messi d’impegno per mandare in malora la seconda fabbrica siderurgica più importante del paese.La politica piombinese li dal 1945 ha piazzato gente nelle municipalizzate e ha raccomandato amici e parenti in comune e poi…?!Negli anni 90′ erano gli stessi discorsi,ma forse chi ha scritto l’articolo stava all’asilo.Poi arriva “acciaio” scritto ovviamente a più mani e da una tizia messa li per comodo,tanto per creare un prodotto commerciale senza capire il male che poteva fare alla città.
Articolo anacronistico.