PIOMBINO-TARANTO: IL DRAMMA DELLA PRIVATIZZAZIONE DELLA SIDERURGIA
L’EDITORIALE di Giuseppe Trinchini
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La settimana di ferragosto è quella che tradizionalmente non vede l’uscita del settimanale cartaceo, e quindi, di conseguenza dell’editoriale. Ma sono stati molti gli spunti di riflessione in questi giorni sulla Lucchini, sulla sua crisi e sul suo altoforno giunto ormai a fine vita. Il primo è un recente servizio fatto dal TG3 che vi riproponiamo qui sotto, e il secondo una riflessione tratta dal blog “sinistrainparlamento.blogspot.it“.
La notizia del giorno riguarda l’antico stabilimento siderurgico di Piombino, una delle “culle” della classe operaia italiana, quella di un tempo “forte”, “stabile”, “concentrata”, perla di produzioni tecnologicamente all’avanguardia, poi privatizzata da Lucchini, epigono dei “padroni delle ferriere” del tondino bresciano.
Sono a rischio migliaia di posti di lavoro, potrebbe chiudere i battenti, un’intera filiera produttiva, in collegamento con la crisi di Taranto, della quale più nessuno parla dopo gli “exploit” dei mesi scorsi e la nomina a commissario dell’amministratore delegato di Riva: l’eterno Bondi, uomo dalle forbici taglienti…
Un dramma, un vero dramma che non riguarda semplicemente un territorio dalla grande storia industriale: un dramma che pone in luce, ancora una volta (e non ci stancheremo mai di ripeterlo) il fallimento totale del processo di privatizzazione di un fondamentale comparto industriale come quello siderurgico: un comparto praticamente alienato attraverso scelte sbagliate che vengono da lontano (dal Prodi, commissario dell’Iri e ministro dell’Industria nei governi Craxi e Andreotti degli anni’80 – ’90) che hanno privato il Paese di un settore fondamentale per l’innovazione tecnologica, per le forniture destinate alle grandi infrastrutture ormai vero tallone d’Achille della vicenda italiana (pensiamo alle ferrovie).
Scelte sciagurate favorite, anche e soprattutto, dai “riformisti” di governo sia a Roma, sia sul territorio e da un sindacato accondiscendente sul terreno del “privato” e incapace di dimostrarsi “soggetto politico” (un orrore, oggi, richiamare questo termine giudicato frettolosamente del tutto improprio) in grado di reclamare progetti, programmazione, piani industriali.
Questo quadro riguarda la siderurgia, settore – chiave dello sviluppo industriale di un Paese, settore che nel frattempo ha fatto passi da gigante sul piano tecnologico e del rapporto con l’ambiente circostante rispetto alla qualità dei suoi impianti : progressi cui ci siamo limitati ad assistere, restando alla retroguardia anche rispetto all’indispensabile concerto europeo.
Un quadro, però, che potrebbe essere delineato per tanti altri settori industriali: dalla chimica all’elettronica, all’agroalimentare. Certo ha pesato un enorme processo di corruzione, evidenziatosi come intrecciato tra pubblico e privato (ricordate la “madre di tutte le tangenti” Montedison). Ma una questione che non doveva essere affrontata privando il nostro Paese dell’intero comparto industriale, regalandolo a privati che – come abbiamo visto nel caso di Riva – hanno proseguito imperterriti nella distruzione di qualsiasi senso etico da relazionare con la politica industriale.
Italia fanale di coda per responsabilità diretta del cedimento all’egoismo vorace della concezione privatistica del lavoro, dell’assenza di una programmazione pubblica, di un progetto di nazionalizzazioni in settori chiave e di complessivo intervento pubblico in economia.
A sinistra non soltanto elementi di riflessione sul piano dell’indirizzo complessivo della proposta economica, ma indicazioni di lotta da portare avanti subito per difendere e affermare un patrimonio di lavoro, conoscenza, fatica che non può essere definitivamente allineato.
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molto buono