LA CRESCITA SI E’ MANGIATA IL FUTURO?
L’EDITORIALE di Giuseppe Trinchini
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Corriere Etrusco “numero 22” del 06 settembre 2013.
Visitando la festa del PD di questo anno, che sta avendo un buon successo, tra i vari manifesti non si può non notare lo slogan scelto per la Festa nazionale dell’economia organizzata a Piombino dal Partito Democratico: «Non c’è futuro senza crescita». Però, secondo molti autorevoli studi portati avanti negli ultimi 40 anni è vero esattamente il contrario, cioè che è la crescita che si è mangiata il futuro. Il futuro di intere generazioni e dei Paesi del sud del mondo.
Lo sviluppo sostenibile è una forma di sviluppo (che comprende lo sviluppo economico, delle città, delle comunità, lo sviluppo locale e regionale, etc.) che non compromette la possibilità delle future generazioni di perdurare nello sviluppo preservando la qualità e la quantità del patrimonio e delle riserve naturali (che sono esauribili, mentre le risorse sono considerabili come inesauribili). Il suo obiettivo è di mantenere uno sviluppo economico compatibile con l’equità sociale e gli ecosistemi, operante quindi in regime di equilibrio ambientale. In poche parole non può esserci crescita infinita in un pianeta dalle dimensioni definite, tanto più in un periodo di globalizzazione come si vede da 20 anni a questa parte…
La prima definizione in ordine temporale è stata quella contenuta nel rapporto Brundtland del 1987 e poi ripresa dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo dell’ONU: «Lo Sviluppo sostenibile è uno sviluppo che garantisce i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri».
Anche senza arrivare alle note teorie della decrescita dell’economista Serge Latouche («Breve trattato sulla decrescita serena», Bollati Boringhieri, Torino 2008), basterebbe ricordare che già nel 1972 fu pubblicato «The limits to growth», («Limiti alla crescita») risultato di uno studio commissionato dal Club di Roma al Massachusetts Institute of Tecnology, importante centro della ricerca scientifica americana.
Il rapporto, ponendo il concetto di finitezza delle risorse naturali all’attenzione della comunità scientifica e politica, denuncia l’incompatibilità tra crescita economica e risorse disponibili, sottolineando la natura non illimitata di queste ultime. Nello stesso anno un altro libro, tradotto in tutte le lingue, «Il cerchio da chiudere» del biologo americano Barry Commoner, recentemente scomparso, pone le basi della questione ambientale.
Nel 1992 è stato pubblicato un primo aggiornamento del rapporto, col titolo «Beyond the Limits» («Oltre i limiti»), nel quale si sostiene che erano già stati superati i limiti della “capacità di carico” del pianeta. Nel 2004 è uscito invece «I nuovi limiti dello sviluppo»: un lavoro che ricapitola dati e idee raccolte e sviluppate dagli autori dal 1992 in poi, confermando che la crescita non può continuare allo stesso modo, dissipando risorse e territorio, se non al prezzo di conflitti e di aumento delle disuguaglianze. Da questo momento gli studi e le critiche alla crescita sono diventati sempre più numerosi.
È difficile pensare nel 2013 che si cerchi di uscire dalla crisi generale di sistema puntando ancora sullo stesso paradigma che l’ha generata: la crescita, appunto.
Chissà se qualcuno nelle “alte sfere” se n’è accorto. Speriamo si tratti solo di una svista, perché rischiamo di lasciare ai nostri nipoti un pianeta ben peggiore di come lo abbiamo trovato, inquinato e, dopo il fallimento di un’industria non più sostenibile, con un futuro incerto.
Giuseppe Trinchini
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