MAURO CARRARA: «CON LA CULTURA SI PUÒ MANGIARE»
Abbiamo intervistato Mauro Carrara, storico di Piombino, che ci ha parlato del rapporto tra territorio e cultura, della crisi Lucchini e di come è possibile uscirne.
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Ci parli della sua passione per la storia piombinese e di come è diventata parte della sua vita.
La storia è una materia che mi è sempre piaciuta, anche se non condividevo il metodo con cui era affrontata a scuola. La metodologia con cui avviene la ricerca storica è profondamente diversa da come la storia stessa ci viene “trasmessa” dagli insegnanti, ovvero tramite date e personaggi, invece di focalizzare l’attenzione sul contesto in cui i fatti avvengono; per questo è una delle materie meno “simpatiche” agli studenti.
Ho iniziato ad occuparmi di storia di Piombino circa quarantatré anni fa, dopo un periodo di lavoro molto intenso. Alla fine di questo periodo ho iniziato a dedicarmi al volontariato culturale: sono stato tra i soci fondatori del Circolo Canottieri Piombino prima e dell’Associazione Astrofili Piombino poi. Ad un certo punto mi sono reso conto di non poter proseguire le mie ricerche in campo storico come volevo e ho dovuto lasciare indietro la passione per l’astronomia.
Dopo tutti questi anni passati a ricostruire la storia di Piombino, tramite studi in archivio e confronti sul territorio, posso dire che questo mi ha dato molte soddisfazioni. Sono stato invitato a molte conferenze e dibattiti e ho scritto quattordici libri sulle mie ricerche. Questo mi ha permesso di essere nominato Ispettore Onorario del Ministero dei Beni ed Attività Culturali.
La sua formazione scolastica è molto diversa dal percorso culturale che poi ha affrontato in seguito. Perché?
Smisi di studiare nel lontano 1954, durante la crisi delle fabbriche: la mia famiglia attraversava un periodo molto difficile. Mi sarebbe piaciuto finire i miei studi di ragioneria, ma terminai al conseguimento del diploma di computisteria. Nel frattempo iniziai a lavorare presso la compagnia portuali, andando la mattina in ufficio e il pomeriggio a scuola.
Lei ha contribuito molto alla “riscoperta” della storia della città di Piombino. Pensa che i piombinesi conoscano la loro storia più antica?
Sotto questo punto di vista ho notato una notevole carenza, tant’è vero che spesso ai dibattiti ho trovato molto “stupore” tra la gente che ascoltava. Ci sono tuttavia molti conoscitori della storia piombinese, anche se in numero limitato rispetto ai primi. C’è da dire che, grazie al lavoro svolto dall’amministrazione comunale negli anni Ottanta e Novanta, la situazione è notevolmente migliorata. In controtendenza rispetto al resto dell’Italia si iniziò a sviluppare una politica culturale in cui la conoscenza del contesto storico di Piombino era molto importante. Basti pensare al contributo dell’Università delle Tre Età che mi ha permesso di parlare, insieme ad altre persone, del contesto sociale, politico, industriale e commerciale del nostro passato. La dimostrazione della buona riuscita dei prodotti di questa politica culturale è proprio la partecipazione delle persone, che apprezzano questa forma di intrattenimento. La cosa importante è che la gente abbia “voglia di sapere”. Io stesso non ho mai voluto diritti d’autore sui miei testi proprio per stimolare la diffusione dei loro contenuti.
Qual è la reazione degli studenti durante le sue visite a scuola?
Nelle mie visite alle scuole, dalle elementari fino agli istituti superiori, cerco di creare un dialogo con i ragazzi, senza fare lezione. Alla fine dico agli studenti: “siate curiosi, fatevi delle domande, leggete”. I ragazzi possono interessarsi al loro passato, basta concedere loro lo spazio e la possibilità. Parlando con loro in modo colloquiale ci si accorge di come siano curiosi; paradossalmente, alcuni professori mi hanno detto che gli studenti sono molto più attenti durante le mie visite che non alle loro lezioni! Dopo la prima ora in cui io parlo di storia, nella seconda i ragazzi mi pongono le loro domande e le loro osservazioni, e da lì parte il dialogo.
Oltre a questo ho preparato molti laureandi, tra cui ragazzi con una notevole predisposizione allo studio della materia. Purtroppo la realtà italiana non permette loro di esprimere il talento e molto spesso sono costretti a cercare un lavoro di ripiego. Sono stati costretti a non seguire la loro naturale predisposizione allo studio e alla divulgazione. La ricerca del lavoro condiziona tutto.
L’unico rammarico che ho è il fatto che ci siano poche persone che fanno volontariato in questa maniera.
Come vede la situazione culturale a Piombino?
Con più di 120 associazioni culturali presenti nella nostra cittadina, la situazione culturale mi sembra in una forma più che positiva. Come abbiamo già detto in precedenza, da una parte abbiamo la gente che è molto sensibile alle tematiche culturali, dall’altra c’è il notevole lavoro dei volontari che fanno parte di queste associazioni. Ho notato anche che è molto diffusa la lettura di periodici specializzati, oltre a quella dei quotidiani locali e nazionali. Lo stesso Corriere Etrusco è un “prodotto” nato per soddisfare questo bisogno.
Ricordiamo che sul nostro territorio sono presenti ben due case editrici locali che pubblicano molti libri di qualità, spesso su argomenti relativi a tesi universitarie, ricerche svolte nel comprensorio, testi antichi di difficile reperibilità e autori esteri importanti, ma non ancora tradotti nella nostra lingua.
Pensa che si possa uscire dalla crisi anche con la valorizzazione del nostro patrimonio artistico e architettonico?
Purtroppo al giorno d’oggi c’è sempre qualcuno che dice che con la cultura non si mangia, forse perché la cultura stessa danneggia i suoi affari. Negli altri paesi si vede chiaramente che con la cultura “si può mangiare”.
Fin dagli anni ’70 con il nostro Centro Piombinese di Studi Storici, tramite il lavoro di Ivan Tognarini, si pensò ad un polo di “archeologia industriale”. Negli altri Paesi edifici, altoforni, fonderie e laminatoi vengono conservati e si mantiene l’industria; parallelamente si creano posti di lavoro nel settore della cultura e nell’indotto, perché accanto al museo ci sono ristoranti e alberghi.
Sicuramente non sarà un turismo “di élite”, ma in Europa è senz’altro un settore in espansione.
Il territorio della Val di Cornia, come le numerosi fonti ci dimostrano, ha una storia lunga e ricchissima di avvenimenti storici e naturali. In Val di Cornia si può letteralmente studiare di tutto, tant’è che naturalisti, storici ed esperti in architettura militare, provenienti da tutta Europa, hanno scritto importanti trattati durante tutto l’Ottocento. Io stesso, nel corso di un mio studio sull’architettura militare delle torri di guardia costiera, ho ritrovato molti ruderi che, se correttamente conservati e tutelati negli anni, avrebbero costituito motivo di attrazione turistica.
Riguardo alla crisi Lucchini, quali sono secondo lei le possibili soluzioni?
Già da quando lavoravo per la compagnia portuali, sono sempre stato favorevole al cambio di provincia (da Livorno a Grosseto, ndr) perché ho sempre visto il porto di Piombino un po’ “succube” di quello di Livorno, che doveva rimanere la risorsa principale della sua città.
Oltre a questo, sicuramente dovremmo puntare sullo sviluppo di un polo culturale e tecnologico. La tecnologia è alla base della crescita.
Io mi sono posto questo quesito: perché in tanti anni si è sempre creduto che la cultura fosse l’ultimo vagone del carro?
Piombino, nel corso del ‘900, è sempre stata inquadrata come “città-fabbrica” e non c’è mai stata una rivalutazione del centro storico, se non negli ultimi quindici-vent’anni. Il quartiere dove sono cresciuto (centro storico, via Ferruccio, ndr) era considerato alla stregua di Trastevere. Il riconoscimento della peculiare struttura medievale e rinascimentale del nostro centro storico ha permesso il risveglio culturale che ha portato al risultato di un quartiere molto più vivibile rispetto al passato. Questa è la dimostrazione dell’effetto di una politica culturale corretta. I benefici a lungo termine di queste scelte saranno ancora più evidenti perché la cultura è il punto di partenza di un cerchio che si chiude sempre.
Chiara Bellucci
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