AMMINISTRATIVE: NASCE LA LISTA CIVICA «UN’ALTRA PIOMBINO»
Piombino (LI) – Lunedì 10 febbraio alle ore 14 si è tenuta presso il centro giovani di Piombino una conferenza stampa per la presentazione della lista civica «Un’altra Piombino» che sarà presente alle elezioni amministrative del maggio 2014. Nell’occasione sono state presentate le portavoci della lista, Cinzia Bartalini e Marina Riccucci, il logo, gli scopi e gli obbiettivi .
«Un’altra Piombino» è una lista civica di sinistra nata per spontanea aggregazione di un gruppo. Gruppo aperto a movimenti e forze politiche. Il documento che è stato presentato, e che i nostri lettori possono trovare al termine dell’articolo, è condiviso da tutti i promotori. «Piombino può essere altra, diversa da quella che è oggi. Amministrata da una politica che vogliamo diversa».
Questa lista civica nasce da Sel, ma sembra che se ne discosti. Quanto e se sì perché?
Non nasce da Sel, nasce dall’intento di un gruppo di persone di cui molte fanno parte di Sel. Sel ha rinunciato a candidarsi e si è messa in discussione in un confronto ad impegnarsi per la costituzione di una lista civica che parte dal tema dell’eticità della politica. Una politica pulita che non parte dai palazzi ma che la pone al centro della discussione. La lista è composta di cittadini che fanno parte dell’associazionismo, della politica, del volontariato eccetera. Per non generare confusione abbiamo deciso di presentare le linee guida (che potete leggere al termine dell’articolo, ndr.) e e su queste confrontarci. Sel si è spogliato e si è aperto alla città. Un gesto veramente apprezzabile.
Eventuali alleanze con altri partiti politici o liste civiche?
Non ci sono pregiudiziali nei confronti di altri partiti o liste. Confrontiamoci sui programmi e poi vediamo. Intenzionalmente oggi sulla base di quello che leggiamo e vediamo riteniamo che non ci siano punti di contatti così vincolanti e stringenti da farci fare queste elezioni amministrative con i l nostro simbolo. Ma visto che non abbiamo pregiudizi, al momento non ci sono programmi condivisibili, perché il nostro programma è molto diverso da quello che vediamo in giro. Siamo aperti alla discussione e all’apertura verso il territorio. L’apertura prevede che chiunque voglia condividere questi temi sarà accolto, e nello stesso tempo sarà importante per la scelta di un nostro candidato. Altrimenti gli enunciati delle nostre linee guida sarebbero disconosciuti. Il nostro percorso sfocerà in un programma e se ci saranno altre forze che condivideranno ne discuteremo. Siamo alternativi, altrimenti non ci sarebbe la necessità di questa lista. Necessità ed urgenza di dare a una Piombino che c’è e che esiste, ma che non ha voce. Una Piombino governata diversamente da quella governata oggi. Ne messia ne rottamatori, ne produttori a ciclo continuo di slogan.
Le due portavoce della lista:
Cinzia Bartalini: insegnante di scuola media, impegnata nel presidio di Follonica di “Libera” e responsabile della cooperativa che gestisce il Centro Giovani di Piombino. Mai iscritta a partiti, grande esperienza nel sociale nel quale mi sono sempre impegnata.
Marina riccucci: nata a Piombino, rientrata come residente da poco più di un anno. Insegna letteratura italiana all’università di pisa. Formazione umanistica. Passato di giovane militante nei verdi. Chiuso una parentesi di politica attiva fino a quando sono stata coinvolta intorno al comitato “giu le mani da baratti” territorio che mi ha richiamato anche politicamente. Iscritta a sel da circa due anni.
Sul web: www.facebook.com/unaltrapiombino.listacivica
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Conferenza stampa
Presentazione della lista civica Un’altra Piombino
Lunedì 10 marzo 2014
Piombino, Centro Giovani, ore 14.00
Cinzia Bartalini e Marina Riccucci
Portavoce del gruppo promotore della lista
1. Perché è nata la lista. Questa è una lista civica di sinistra nata per spontanea aggregazione di persone che hanno voluto incontrarsi e che hanno deciso di lavorare insieme partendo da un manifesto programmatico: quello che pone al centro l’eticità della politica. Siamo un gruppo eterogeneo di individui che provengono da formazioni diverse; che non condividono il modo attualmente imperante di fare politica, ma che nella politica credono; che pregiudizialmente non chiudono a nessuno, né a movimenti né a forze politiche. Crediamo che Piombino possa essere altra, cioè diversa da quella che è oggi. Altra nel senso di vissuta, conosciuta e amministrata attraverso una politica diversa. Tenuto conto che la Piombino che si prepara alle elezioni amministrative patisce quello che oggi affligge tutta l’Italia – vive il dramma delle questioni occupazionali, ha un territorio che reclama cure e manutenzione, vanta un patrimonio ambientale che urla la propria difesa, soffre di una crisi sociale che nasce dalla crisi del sistema produttivo sul quale fino a oggi ha impostato la propria economia – ci riconosciamo nei dieci punti che costituiscono la campagna Miseria ladra di Don Ciotti, riassumibili nella frase che segue:
«La lotta alle povertà nasce dalla giustizia sociale, dalle politiche che favoriscono la dignità delle persone, senza eccezioni e discriminazioni. La povertà materiale non va dimenticata, la povertà di senso, la povertà politica. Le priorità sono il lavoro, la casa, l’assistenza sanitaria, l’istruzione…, il risanamento economico non può più prescindere da un profondo rinnovamento etico, da un superamento degli egoismi, dal riconoscimento dei legami sociali… La libertà e la speranza sono beni collettivi che tocca a ciascuno di noi promuovere e diffondere». (Don Ciotti, campagna Miseria ladra)
Ne abbiamo scelti tre sulla cui base lavoreremo e che ci sembra che più corrispondano alla realtà locale piombinese: a. (n. 4) agricoltura sociale, riconversione ecologica delle attività produttive attraverso i tagli alle grandi e inutili opere; b. (n. 6) destinazione del patrimonio immobiliare sfitto per usi sociali e abitativi (politiche della casa); c. (n. 8) reddito minimo di cittadinanza.
2. Il perché del nome della lista e il significato di altra Non siamo qui a dirvi che vogliamo lavoro – salute – ambiente, perché questo lo dicono tutti, tutti lo sbandierano. Certo che li vogliamo, con tutte le nostre forze. Ma li vogliamo in nome della sola politica che si incardina sui principi e sui valori che consideriamo ed eleggiamo come irrinunciabili: quelli della legalità, della moralità, della tutela della salute e dell’ambiente, del rispetto dell’individuo, di ogni diversità, di ogni idea. Questa politica ha un suo statuto e una sua identità costituzionalmente sanciti: si chiama democrazia partecipata. La democrazia partecipata è prima di tutto tre cose: apertura, confronto e progetto.
– apertura = apertura verso tutte quelle persone che lavorano su piccoli e grandi temi, specifici e generali, che spesso non hanno incarichi pubblici e che troppo spesso non hanno voce, ma che hanno un’idea chiara e precisa delle soluzioni da adottare e un’esperienza che non può che essere ricchezza. Ascolteremo quelle persone. Creeremo spazi di ascolto, ridando forza a quelli istituzionali – per esempio ai quartieri, che sono stati completamente depauperati – e trovandone e pensandone di nuovi.
– confronto = confronteremo le idee a cui abbiamo dato ascolto con le informazioni che avremo raccolto dai cosiddetti ‘esperti’, che convocheremo e che incaricheremo di fornirci studi mirati su questioni specifiche che ci riguardano. Il confronto produrrà un’analisi oggettiva, tecnica e documentata.
– progetto = il figlio della democrazia partecipata è il progetto per il futuro, il progetto che fa futuro. Dall’analisi arriveremo alla formulazione di piani di lavoro e di intervento. Sceglieremo quelli che ci offrono le garanzie maggiori tenendo conto delle istanze espresse dal percorso partecipato. Potrebbe essere obiettato che anche tutti gli altri hanno progetti: ma è diverso, noi siamo diversi. Il progetto per il futuro e del futuro si distingue da tutti gli altri piani perché è l’unico a essere il frutto di un lavoro preliminare e continuativamente condiviso tra cittadini e rappresentanza istituzionale. Siamo agli antipodi della politica dell’esclusione. Il progetto per il futuro e del futuro non parte da verità assolute: ci sono principi assoluti e inderogabili, si intende, e dai quale non ci spostiamo, ma non verità acquisite a priori, non soluzioni preconfezionate. Il punto di partenza è sempre costituito da studio e da indagini, certo non è un elenco di slogan oltranzisti, spesso intransigentemente manichei: slogan che non di rado sono la voce di chi si proclama messia e rottamatore, ma che poi delega o rifiuta il confronto.
Ma siamo anche agli antipodi della politica dell’emergenza: quella che ha come pratica ordinaria i provvedimenti tampone, che hanno effetti di breve durata e nessun fondamento di prospettiva. Le soluzioni che nascono da un progetto condiviso in modo trasparente hanno la prospettiva futura di bene pubblico, le soluzioni che nascono da un’esigenza di emergenza, o peggio per creare solo consenso, non costruiscono un futuro per la città ma lo distruggono. Spesso questi provvedimenti sono legati a interessi privati meramente speculativi che a tutto mirano fuorché al bene pubblico. Siamo contro la politica che ha connivenze con questo tipo di interessi. Siamo favorevoli all’impresa privata, vogliamo che passi questo messaggio.
3. Percorsi di fattibilità che discendono dall’adozione della democrazia partecipata Chi arriva a Piombino incontra cartelli con la scritta Piombino non deve chiudere. Questa frase è un appello accorato, è la voce di una sofferenza, è la parola della povertà che attanaglia. In questa frase si condensano una storia, un pregresso, ma anche una prospettiva. Piombino ha da sempre una vocazione industriale, eminentemente industriale. Piombino come fabbrica, Piombino che vive sotto la minaccia incombente della fabbrica che chiude. Oggi la situazione è gravissima: Piombino è caso nazionale, lo sappiamo bene. Come sappiamo bene che questa fabbrica, così com’è, non ha futuro. È una verità da cui nessuno può prescindere. Un tempo di intervento che non possiamo più rimandare. Questa è la realtà. La fabbrica si salva se si riconverte e riconvertire significa due cose: ambientalizzazione, preferibilmente con impianti nuovi lontani dalla città, poi, probabilmente, innovazione con forno elettrico e corex. Ma per tutto questo abbiamo bisogno di studi competenti, di vederli e di valutarli. Paradossalmente, oggi, si preferisce paventare lo spettro della chiusura piuttosto che investire su tutto questo. Diciamo basta.
Poi bisogna fare un’altra cosa. Puntare sulla diversificazione. Piombino si salva se si diversifica. E non c’è diversificazione senza una politica ambientale rigorosa che ponga al suo centro il territorio. Piombino è, oltre che fabbrica, anche territorio e questo territorio costituisce una risorsa, forte, reale, su cui investire. Faremo nostro il programma che va sotto la dicitura ‘stop al consumo del territorio’. Perché le politiche ambientali portano ricchezza e a Piombino una politica ambientale non è mai stata fatta. Ovvio che non ci limiteremo a operazioni minimali e di facciata, ma faremo della tutela e della valorizzazione del territorio uno dei perni delle scelte di governo. Siamo tornati indietro sulle politiche sovracomunali, sui i parchi c’è stata una involuzione rispetto alla missione originale, per il turismo ci fermiamo solo al periodo estivo. Lavoreremo su tutto questo.
Stessa cosa per i rifiuti: pensiamo a quelle città virtuose che di fronte alla questione della gestione dei rifiuti hanno agito in modo concreto (Capannori in prima fila qui in Toscana). Hanno sostituito la parola emergenza con la parola gestione. Siamo convinti che riconversione e diversificazione sono la via della salvezza: perché tutelano i posti di lavoro e perché ne offrono di altri in altri settori. Solo così Piombino non chiuderà. Solo così Piombino tornerà a essere una città che non produce più povertà. Povertà di reddito e povertà culturale atterrano questa città. Qui oggi si registra un altissimo tasso di abbandono scolastico (pari a quello della media nazionale). La povertà minorile produce povertà culturale, cioè analfabetismo e sudditanza silente e muta. Produce disoccupati, precari, malati, solitudini, sofferenza, morte della speranza, ostruzionismi a oltranza, sudditi e non cittadini. Noi vogliamo invertire questo e lo faremo, lavoreremo nelle scuole e con le scuole, lavoreremo nei quartieri e con i quartieri. Contrasteremo l’abbandono scolastico e la cosiddetta fuga dei cervelli, faremo le politiche di inclusione, accoglieremo culture diverse facendole nostre. La povertà fa menomazione anche della nostra lingua: ci obbliga a usare frasi fatte, a ripetere espressioni stereotipate, a utilizzare sempre le stesse parole. Sostituiamo ‘emergenza’ con ‘questione’: nella seconda parola sono contenute le volontà di capire per agire; sostituiamo ‘paura’ con ‘curiosità’, ‘allarme’ con ‘osservazione’ e ‘aspettativa’. Non dimentichiamo mai che più il linguaggio si fa povero, più le mafie di diverso ordine e grado prendono il potere. La ricchezza dell’espressione è come lo sguardo strabico, di Don Ciotti, lo sguardo che osserva il vicino ma che non perde di vista l’orizzonte allargato.
Ci presentiamo quindi con questi presupposti e con queste linee guida che ci porteranno a definire il programma della lista. Da qui all’inizio della campagna elettorale proponiamo quattro incontri: il primo su sanità e sociale (14 febbraio), il secondo su democrazia e partecipazione (20 febbraio), il terzo su lavoro e ambiente (*** ***), il quarto su immigrazione e diritti *** (15 marzo).
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