«KILLER IN CORSIA»: NON SONO IO L’INFERMIERA ASSASSINA
PISA – “Non sono un killer ma un capro espiatorio per morti inspiegabili. Io sono innocente”. Così l’infermiera 55enne si difende dall’accusa di aver ucciso 13 pazienti ricoverati nel reparto di rianimazione e terapia intensiva dell’ospedale di Piombino (Livorno) tra il 2014 e il 2015 con ‘bombe’ di Eparina (iniezioni letali dieci volte superiori alla somministrazione ordinaria nei casi in cui il farmaco è prescritto).
L’infermiera-killer, come è stata ribattezzata dalle cronache, arrestata mercoledì sera all’aeroporto di Pisa, di rientro da un viaggio a Parigi, dove uno dei suoi due figli lavora come cuoco, si trova nella sezione femminile del carcere “Don Bosco” di Pisa. Qui lunedì prossimo, 4 aprile, avverrà l’interrogatorio di garanzia davanti al gip del Tribunale di Livorno, Antonio Pirato.
La donna affida la difesa al suo avvocato Cesarina Barghini, che dichiara: “La mia assistita è innocente e lo dimostrerà. Ha sempre svolto il suo lavoro correttamente e adesso si trova a dover rispondere di accuse infamanti”. Accuse che la signora “respinge nella maniera più assoluta, perché estranea a ogni addebito”.
Contro l’infermiera professionale di Piombino, afferma l’avvocato Barghini, “non ci sono prove e non ci sono neppure indizi concordanti e gravi; l’unico indizio contro di lei, è la sua presenza in reparto in epoche vicine ai decessi, neppure nel momento di tutti gli episodi contestati” (Si può leggere questo articolo per approfondire l’argomento).
“E’ evidente che prima è stato trovato il capro espiatorio di questi decessi e poi è stato creato il vestito per l’assassina – commenta il legale – In questa vicenda si parte dalla presunzione di colpevolezza anziché dalla presunzione di innocenza dell’arrestata”.
L’avvocato Barghini smentisce che l’infermiera abbia avuto problemi di alcolismo: “Non ha mai abusato di alcol, a parte un bicchiere di vino durante i pasti a tavola. Non credo che ciò possa essere sufficiente per definire una donna alcolista”. Come smentisce che abbia curato la sua depressione con un ricorso continuo a psicofarmaci: “A parte un episodio di depressione risolto tempo fa, la mia assistita non usava abitualmente psicofarmaci e usava farmaci solo per curare l’epilessia”.
Quanto ai decessi sospetti nel reparto in cui lavorava fino al settembre scorso, prima del suo trasferimento al poliambulatorio, l’avvocato Barghini osserva: “Al di là del fatto” che la signora “si proclama innocente con tutte le sue forze e non si spiega come si sia potuta formulare un’accusa così infamante, quello che mi sorprende è la sicurezza con la quale, in difetto di prove certe o quantomeno di un patrimonio di indizi idonei, si stia attribuendo alla mia assistita una condotta così efferata e, sulla base di questa insufficienza, si sia potuti arrivare ad una misura eccezionale come la custodia cautelare in carcere”.
“Nella ricostruzione operata dagli inquirenti non emergono, infatti, elementi certi se non la presenza della mia assistita al momento degli eventi, che di per se non può essere sufficiente – dichiara l’avvocato – Inoltre, le si stanno attribuendo 13 eventi di somministrazione di eparina, quando in realtà gli approfondimenti sulla causa delle morti sono stati fatti solo in relazione a 2/3 casi e si tratta comunque di accertamenti di parte, svolti senza un contraddittorio, senza alcuna possibilità di partecipazione dell’indagata che avrebbe potuto avvalersi di propri consulenti, come accade nell’incidente probatorio”.
“Ipotizzando – continua – anche che questi accertamenti siano attendibili e corretti, stiamo parlando di 3 ipotesi che non sono ancora sufficientemente riconducibili alla signora“. “Saremmo sì in presenza di una volontà omicida, che indica,quindi, la mano dell’uomo, ma visto che non ci sono prove e/o indizi granitici di colpevolezza ” della donna, “mi chiedo – sottolinea -, di fronte a un quadro complessivo di questo tipo, se nessuno si sia ancora posto il problema che il vero killer sia sempre a piede libero e, magari, una volta esaurita la gogna mediatica nei confronti della mia assistita, torni in azione”.
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UN’ALTRA PIOMBINO:«QUALCOSA SI E’ IRRIMEDIABILMENTE INCRINATO»
Riceviamo e pubblichiamo dalla lista civica piombinese “Un’Altra Piombino”.
«La sconcertante vicenda delle morti sospette a Villamarina induce alcune riflessioni. In attesa di un verdetto della magistratura che accerti la colpevolezza di una persona al momento solo indiziata di reato, veniamo a sapere che i sospetti si erano materializzati fin dal gennaio 2015 e che la persona in oggetto era osservata e sottoposta a intercettazioni già da alcuni mesi.
Il tempo, dilatato, si è rivelato una variabile decisiva per la vita di alcune delle vittime e i sistemi di controllo hanno sicuramente presentato delle lacune. Certo, chi poteva immaginare tanto? Chi poteva pensare che il dubbio potesse concretizzarsi in una realtà tanto drammatica? La follia e l’imprevedibilità del male sono dietro la porta di tutti, anche delle realtà provinciali e tranquille come la nostra. Ma rimane il dato del lasso di tempo fra gennaio e ottobre. Rimane la tardiva comunicazione alle forze inquirenti.
Per questo non ci saremmo aspettati le dichiarazioni asettiche e fredde dell’assessore regionale Saccardi, preoccupata solo dell’immagine del sistema sanitario regionale e pronta a rivendicare l’efficienza del sistema di controllo, che invece, come traspare dalle sue stesse parole, tanto efficiente poi non è. Noi crediamo invece che qualcosa si sia irrimediabilmente incrinato e che per la nostra struttura sanitaria, già colpita dalle politiche di risparmio, si aprirà purtroppo una fase difficile.
Il nostro sistema sanitario, se si tolgono le poche eccellenze, sta subendo da anni un inarrestabile processo involutivo: le politiche nazionali e -nel nostro caso- regionali seguono un solo criterio: quello del risparmio , che si traduce in riduzione dei posti letto, del personale, dei servizi e delle prestazioni territoriali: uno scadere qualitativo che si vuol far passare come “efficientamento e ottimizzazione” e che in realtà si traduce solo in forte impoverimento dell’offerta assistenziale.
C’è una relazione tra questo dato e la follia criminale? No, sicuramente. Lungi da noi una benchè minima attenuante. Emerge però una considerazione da questa vicenda: il lavoro infermieristico è un lavoro estremamente delicato e difficile, con implicazioni di notevole complessità. Ci sono realtà in cui si raggiungono livelli elevati di stress e carichi di lavoro insostenibili che si vanno a sommare alle criticità psicologiche che la professione di per sé implica. Ripeto, nessuna attenuante per la follia criminale. Ma un’attenzione maggiore, questa si.
E invece si continua a tagliare sul personale, a far lavorare le unità sotto organico, nell’ostinazione a non capire che quel capitale umano è un elemento di preziosità imprescindibile, che non si può rispamiare su di esso. Inoltre, gli infermieri non ricevono alcun supporto da un sistema pubblico mosso unicamente dalla logica del risparmio. I controlli che periodicamente vengono effettuati sono limitati ad alcuni parametri e inadeguati alla complessità degli stimoli cui il personale addetto all’assistenza è sottoposto; inadeguati a verificare le necessità psichiche che possono essere indotte dalle criticità che il personale vive quotidianamente.
Inadeguati, anche, a individuare prontamente patologie passibili di risvolti tanto gravi come in questo caso. Rimane la profonda amarezza per questa vicenda, la vicinanza umana al dolore delle famiglie delle vittime e la solidarietà a tutti quegli operatori che quotidianamente svolgono il loro lavoro con serietà , competenza e spirito di sacrificio. Nella speranza che da questo tragico evento si possa ripartire per un potenziamento delle nostre strutture , sapendo che, senza un’adeguata e necessaria consapevolezza, non si possono individuare le fragilità e risolverle».
Un’Altra Piombino