PIOMBINO: LE IMPRESE LANCIANO L’ALLARME SULLA CRISI LOCALE
Piombino (LI) – Le tre associazioni di categoria Confesercenti, Confcommercio e Cna hanno incontrato gli assessori alle attività produttive Ferrini e al decoro e sicurezza pubblica Capuano per richiamare con forza l’attenzione dell’amministrazione sulla situazione in cui versano le aziende del commercio e dell’artigianato. Questo incontro è il chiaro segnale che fino ad ora l’assessore al commercio, al turismo e alle attività produttive Stefano Ferrini, seppur in una congiuntura negativa (vedi sotto), ha tutt’altro che brillato nella sua gestione. Speriamo quindi che questo incontro con le associazioni di categoria, nato dalla grande sofferenza di questo settore, lo sproni a fare meglio.
I rappresentanti delle imprese hanno denunciato i tempi troppo lunghi da parte dell’amministrazione comunale per dare risposta alle necessità a più riprese denunciate negli ultimi due anni sulle questioni legate al commercio e all’artigianato.
Le attività commerciali e artigianali al pari dell’industria hanno la necessità di piani di intervento immediati e efficaci per prevenire effetti devastanti anche in termini di perdita di posti di lavoro.
Sono sotto gli occhi di tutti gli effetti della grave crisi che ha investito la città. Le chiusure della attività anche storiche stanno irreversibilmente aumentando. I posti di lavoro persi sono ormai numerosi. C’è la consapevolezza da parte delle Associazioni che si è reso necessario organizzare un tavolo di lavoro intersettoriale che veda la presenza degli assessori di riferimento e del Sindaco per raggiungere al più presto soluzioni importanti.
L’Amministrazione ha garantito che già da questa settimana verrà fissato il primo appuntamento per discutere e lavorare su soluzioni concrete ed attuabili in tempi brevi in merito alle problematiche da tempo evidenziate dalle Associazioni di Categoria e che fino ad oggi non hanno visto un adeguato lavoro di sinergia tra i vari assessorati.
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Vendite al dettaglio: -7,7 miliardi di euro in 6 anni
Prosegue la crisi del commercio al dettaglio in Italia. Il settore ha registrato, nel 2016, una diminuzione delle vendite di circa 7,7 miliardi, oltre 300 euro di spesa in meno per famiglia, rispetto al 2010. A crollare sono state soprattutto le vendite dei negozi della distribuzione tradizionale, diminuite di 6,9 miliardi in cinque anni. Il dato emerge da un’analisi dell’Ufficio economico di Confesercenti, basata sull’elaborazione dei dati sulle vendite del commercio al dettaglio Istat.
I dati delle vendite degli ultimi cinque anni mostrano una profonda crisi soprattutto per le imprese del commercio tradizionale. Il comparto cumula, tra il 2011 e il 2016, una riduzione di quasi 10 punti percentuali del valore delle vendite, con perdite rilevanti sia sul fronte dei beni alimentari (-11%, circa 2,4 miliardi di euro in meno) che su quello del no food (-9,3%, pari a una riduzione di circa 4,5 miliardi di euro). Di conseguenza si è ridotta ulteriormente la quota di mercato degli esercizi di minori dimensioni, ormai pari a circa il 27% sul totale e al 16/17% nel comparto grocery.
Va meglio la grande distribuzione, che limita il calo delle vendite complessive al -1,2%. Ma a tenere su il dato sono le vendite alimentari nei discount: spostando l’analisi sui due macro comparti merceologici food e no food, infatti, emerge anche per la Gdo una contrazione rilevante (-6,5% per circa 3,1 miliardi in meno) delle vendite di prodotti non alimentari. Tuttavia, indagando la tipologia distributiva, è chiaro che siano stati i soli discount ad incrementare le vendite, mentre gli altri esercizi a prevalenza alimentare registrano variazioni negative. Segno evidente di uno spostamento del consumatore verso il risparmio.
I consumatori italiani, effettivamente, sembrano aver tagliato tutti i possibili acquisti nei negozi. A parte le vendite alimentari, che però crescono solo dello 0,1%, tutte le altre voci appaiono negative. Perfino quella relativa a farmaci e prodotti terapeutici, un tempo giustamente ritenuta incomprimibile, ma che in questi sei anni ha registrato una flessione del 7,4% delle vendite. Ma a perdere più di tutti sono le vendite di libri, giornali, riviste e prodotti di cartoleria, che registrano una contrazione del 15,6%.
Picchi negativi anche per gli elettrodomestici, in discesa del 10,4%, e dei prodotti moda: abbigliamento e pellicceria scendono del 7,9%, mentre le vendite di calzature e articoli in cuoio lasciano sul campo il 7,5%. E pure le nuove tecnologie sono al palo: l’informatica e la telefonia mostrano una flessione del -12,6%.
Sembra che Giuliani abbia ricevuto dalla precedente amministrazione una serie di personaggi (l’uomo del canile e l’amante della contadina in primis) che davvero sono nel solco della continuità.
Sì, nella continuità di una follia (uno stato di alienazione mentale determinato dall’abbandono di ogni criterio di giudizio) che sta portando Piombino alla morte economica e sociale. Merci.
il mio pensiero va a quei negozianti ed imprenditori locali che amavano ripetere…. speriamo chiuda la fabbrica almeno piombino può davvero crescere… tanto noi anche se chiude il lavoro lo abbiamo….
Purtroppo in pochi sono riusciti a comprendere il banale concetto che è ben difficile sostituire con gli ombrelloni, i benefici economici che derivano ad un comprensorio da un giro di affari dell’ordine di un miliardo di euro all’anno.
Così come pare essere stato difficile da capire che era molto meglio mantenere nel nostro comune un giro d’affari dell’ordine di alcune centinaia di milioni all’anno (con Jindal), piuttosto che niente (con Rebrab).