CAMPING CIG: JINDAL SLITTA IL PIANO INDUSTRIALE, 4 ANNI PER IL FORNO

Il lavoratori del Camping CIG

Piombino (LI) – Si dilatano i tempi anche per la “gestione” Jindal della vicenda Aferpi, e i lavoratori del Camping CIG, tra i pochi preoccupati più per il piano industriale che non c’è, piuttosto che per la volontà di non laminare di domenica, scrivono una lunga analisi sul futuro dello stabilimento piombinese, che reputiamo molto interessante e pubblichiamo integralmente.

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«Ringraziamo il quotidiano “il Tirreno” e l’estensore dell’articolo sugli incontri tra Jindal e le varie parti politiche per aver tolto, almeno a noi, ogni dubbio sulle volontà della multinazionale indiana.

Vediamo di riassumerle e di trarne da ciascuna le conseguenze:

  • Il termine di fine aprile per la presentazione di uno straccio di Piano Industriale non verrà rispettato. Nonostante la lodata “serietà” dell’interlocutore affermata da tutte le fonti politiche che lo hanno incontrato (lui o i suoi rappresentanti), siamo di nuovo alla tattica del rinvio “tecnico”. A dimostrazione che questi sono i comportamenti normali delle multinazionali le quali, sentendosi (ed essendo) al di sopra di ogni contesto legale, si fanno le proprie regole e le impongono a tutti.
  • Il quadro prospettato è la ripresa della laminazione dei tre treni esistenti, con semiprodotti provenienti da altri impianti JSW. Qui le conseguenze sono due:
    1. Il numero di occupati sarà largamente inferiore al numero necessario per poter utilizzare i contratti di solidarietà, lasciando la maggior parte dei lavoratori con il solo ammortizzatore sociale, assolutamente insufficiente e rappresentando un nuovo, consistente aggravio dei conti dello stato;
    2. JSW potrà importare i suoi semiprodotti in Italia (e quindi in Europa) senza pagare tasse di importazione e quindi realizzando enormi guadagni sul valore aggiunto

 

  • Le demolizioni ipotizzate sono funzionali al solo utilizzo stoccaggio per semilavorati e prodotti finiti, senza nessun vero piano di utilizzo. La conseguenza: il porto sarà ancora una volta ostaggio della multinazionale.
  • JSW non accetta che il ruolo di sorveglianza del governo si prolunghi. Vuole assoluta mano libera. Come prima conseguenza questo ci riporta a quanto dicevamo sull’importazione di semilavorati senza tassazione: senza un adeguato controllo sarebbe facile per JSW superare la proibizione di vendere anche semilavorati (ormai proprietà di una consociata) in Italia e/o in Europa. Altra conseguenza, gravissima per i lavoratori, sarà il non rispetto di regole di organizzazione del lavoro, di orari, di norme di sicurezza con relativamente alta impunità (sommata al ricatto rappresentato da una massa elevata di lavoratori “di riserva”).
  • L’avevamo già detto in altre occasioni: JSW sta facendo un tour politico (Comune, Regione, Stato) finalizzato ad ottenere finanziamenti (in forma diretta o indiretta: facilitazioni, garanzie di vario tipo) per non dover pagare Cevital e soprattutto per non partecipare in nessuna forma al finanziamento delle bonifiche. La conseguenza è sempre la stessa: lo Stato paga per svendere il patrimonio industriale!
  • Dulcis in fundo, JSW dichiara che sì, è interessata a fare una nuova acciaieria, ma ha bisogno di almeno 18 mesi per fare lo studio di fattibilità. Cioè per dirci se è vero che farà l’acciaieria!! Ma noi siamo pessimisti/realisti e già ci immaginiamo il Dott. Azzi (ripescato da JSW) dirci tra due anni: “Neanche Mago Merlino…”.

In ogni caso la stima più ottimista è di quattro anni per avere una acciaieria. Chi crede che il territorio possa resistere?
Certamente non i lavoratori, che nel frattempo avranno perso anche il misero sussidio rappresentato dagli ammortizzatori sociali; ancor meno i lavoratori dell’indotto che già l’hanno perso o lo stanno perdendo. Con il porto bloccato, con le aree ipotecate nessun serio tentativo di diversificazione sarà possibile e quindi tutto il settore di microimprese (artigiani, commercianti, liberi professionisti) è destinato a ridimensionarsi ed in buona parte a scomparire.

L’unica soluzione vera, possibile, è quella che lo Stato faccia valere il suo ruolo, consideri lo stabilimento di Piombino un’attività strategica, sia dal punto di vista produttivo che da quello sociale, e ne assuma il controllo, con la nomina di un Commissario Straordinario con l’incarico non di vendere la fabbrica (Nardi ci ha già provato e l’unico che può essere soddisfatto è lui stesso per gli emolumenti che ha ricevuto), ma di rimetterla in condizioni di produrre e di farne una fabbrica siderurgica modello per l’Italia. Una siderurgia ecocompatibile, agganciata a università e centri di ricerca, non solo scientifici ma anche commerciali.

Contemporaneamente un vero piano di bonifiche, da realizzarsi anche gradualmente, agganciate ad un Piano di Utilizzo del Territorio.

Ai sindacati, lasciati ai margini di ogni discussione, spetta il compito di trasformare queste indicazioni in una vera e propria vertenza, che ponga i lavoratori ed il territorio tutto come protagonisti del loro futuro, con mobilitazioni forti ed incisive. Altrimenti non si tratterà solo di “prendere o lasciare”, ma di assistere alla morte di un intero territorio».

Coordinamento Art. 1 – Camping CIG

Piombino 21/04/2018

 

 

Scritto da il 22.4.2018. Registrato sotto Economia, Foto, Toscana-Italia, ultime_notizie. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

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    Nonostante l'addendum all'accordo di programma, senza il quale Rebrab sarebbe diventato Padrone a tutti gli effetti dello stabilimento, tale data viene comunque considerata dalla nostra testata come quella di inizio della crisi economica reale di Piombino. Da allora sono passati solo
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