DECRETO RILANCIO: CONTE HA TRADITO I NOSTRI FIGLI?
Conte ha tradito i nostri figli? E’ questa la domanda che si pone il nostro “Grillo parlante” dopo aver letto il Decreto “Rilancio” prodotto dalla presidenza del Consiglio dei Ministri. Con l’occasione ricordiamo inoltre che è uscito la notte scorsa anche un ulteriore decreto per l’avvio della cosidettà “Fase 3”: «A decorrere dal 3 giugno 2020, gli spostamenti sul territorio nazionale possono essere limitati solo con provvedimenti in relazione a specifiche aree del territorio nazionale, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico effettivamente presente in dette aree». Vuol dire che senza limitazioni o zone rosse istituite dai governatori in accordo con il governo oppure per specifici problemi legati all’indice di contagio, si potrà andare in tutta Italia.
Leggiamo insieme l’analisi del nostro “Grillo Parlante”.
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Il Presidente del Consiglio dei Ministri, dopo settimane di tensione, ha potuto finalmente concedersi l’ennesima conferenza stampa, per annunciare al Paese che i partiti della maggioranza hanno trovato l’intesa ed è stato così varato il decreto che detterà le norme per il rilancio della economia, piegata dal c.d. lock down.
Ad una prima lettura, il decreto sembra addirittura roboante: roba da discesa della scalinata di Sanremo con il boa di struzzo al collo, per i suoi firmatari.
È vero: è stata colta l’occasione per qualche mancia elettorale e, fra le pieghe delle 464 pagine della bozza che è circolata sui giornali, si annida qualche disposizione che può far scorrere dei brividi lungo la schiena di chi sia troppo sensibile alle tematiche liberali (di libertà, non di partito): la proroga, inspiegata, dello stato d’emergenza, a più di due mesi dalla prima scadenza; il rinforzamento dell’esercito, per finalità di controllo del territorio; l’attribuzione all’Agenzia delle Entrate anche di poteri di spesa e di controllo della spesa…
Siamo, però, un popolo semplice. Ci basta poco e, con la pancia piena, non abbiamo mai sentito un gran bisogno di preoccuparci della libertà. Con un’inversione prospettica che ci distingue dal resto del mondo, filosofiamo quando abbiamo difficoltà a sopravvivere, quando gli altri farebbero la rivoluzione. Soddisfatti i bisogni elementari, siamo ben lieti di stare nel nostro orticello.
Per cui, da quel punto di vista, in questo decreto possiamo trovare tutto quello che ci serve per acquietarci, compatibilmente con le capacità di spesa del nostro bilancio pubblico.
I lavoratori si vedranno garantire un (relativamente) lungo periodo di cassa integrazione ed è stato loro promesso anche che verranno semplificate le procedure per l’erogazione. Anzi, assecondando una linea di pensiero che mi sorprende sempre, ma che evidentemente ha un discreto numero di seguaci, hanno visto abolire per decreto, dopo la povertà, anche la disoccupazione. Si tratta, per carità, di un’abolizione temporanea, di qualche mese. Ma vuoi mettere: le imprese, vive, morte o x, non potranno licenziare nessuno, per motivi economici.
Sono stati promessi denari al mondo della cultura e qualche spicciolo al mondo dello spettacolo (pochi, sia mai che ci si prenda gusto, giusto quello che serve per le sigarette, ma almeno quello c’è).
I precari della scuola, di ogni ordine e grado, hanno prospettive di sistemazione: anche a loro, il posto fisso. Insegneranno in scuole nelle quali – la pandemia lo ha reso evidente – non ci sono spazi, né attrezzature e, all’università, a discenti sempre più amici di Lucignolo, che assetati di sapienza. Vivaddio, però, assunti! E si badi, senza alcuna modifica ai criteri concorsuali: anzianità o prossimità a chi sceglie (del resto, il povero Conte è stato selezionato proprio così e tanto bene sta facendo al Paese).
I padroni delle campagne potranno finalmente conquistare l’immunità penale rispetto ai reati di riduzione in schiavitù e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, di cui si sono resi colpevoli negli anni, e affrontare, dunque, a cuor leggero le prossime stagioni, nelle quali saranno probabilmente costretti a reiterarli, per colpa della crisi economica e della voglia antica di non investire nelle proprie imprese, malgrado – praticamente – non paghino imposte. E lo potranno fare con un prezzo ridottissimo: la disponibilità a restituire la dimensione di uomini a coloro i quali hanno sfruttato, per consentire loro di rimanere: disoccupati, ma legittimamente in Italia.
E anche gli imprenditori potranno, se non gioire, almeno tirare un sospiro di sollievo: attraverso tutta una serie di arzigogoli burocratici (che però permetteranno loro di non tradire le solidarietà antiche, costruite in anni di assiduità, con i funzionari pubblici e soprattutto di conservare il vantaggio di chi conosce bene Tizio, piuttosto che Caio), potranno, però, ottenere non solo (modesti, ma pur sempre importanti, in questo momento) finanziamenti a fondo perduto, ma anche importanti crediti di imposta, per gli investimenti che andranno ad effettuare nelle loro società, e addirittura coltivare la speranza di trovare nello Stato un socio di quelli straordinari, che partecipa alle perdite, senza grandi pretese di farlo anche per gli utili, e che anzi, proprio per legge, rinuncia a controllarli. E quelli più furbi, quelli lungimiranti, che sanno che c’è sempre tempo per pagare e per morire, godranno anche di una riduzione dell’IRAP, solo ridotta, invece, per chi è stato onesto fino in fondo.
Per cui, guai a chi si lamenta.
E a chi si chiede come verrà pagato tutto questo bendidio, si potrà sempre rispondere: è il debito, bellezza!
Solo una nota: quel debito – salvo che non decideremo, prima o poi, di fare come l’Argentina (accettando però, come accade laggiù, i costi della scelta, che toccano sempre ai più poveri) – andrà pagato.
Lo pagheranno i nostri figli. Però, se ci pensate bene, ora loro non votano. Per cui: non disturbino il conducente. Chi vivrà (e speriamo che siano tanti, malgrado la pandemia), vedrà.
Peccato, perché avrebbe potuto essere l’occasione per provare ad invertire la rotta.
In effetti, sarebbe bastato poco: per esempio, detassando gli utili degli investimenti, piuttosto che riconoscendo crediti d’imposta a chi li effettua (sembra un dettaglio, ma nel primo caso, il rischio è dell’imprenditore, che godrà del premio in caso di successo; nel secondo, è dello Stato e della collettività, che si accollerà dunque anche l’azzardo morale di scelte incaute); per esempio, accompagnando gli investimenti nell’Università con un piano ben strutturato di richiamo per le eccellenze sparse per il mondo, anche a dispetto del cursus honorum; per esempio, agendo sulla sanità non solo e non tanto per assumere nuovi medici, ma per riportare il baricentro della spesa sul concetto di assistenza e di assistenza pubblica…
Chi non racconta la verità, però, non può chiedere sacrifici. Deve spararla sempre più grossa, sperando che tutta la polvere che si sta accumulando sotto il tappeto esploda e ci faccia inciampare, nella nostra marcia trionfale nella Storia, solo quando il mentitore avrà già conquistato, anzitutto per sé stesso, la dimensione di uomo di stato, di padre della patria, per gloriarsi all’infinito dell’immagine che vedrà riflessa nello specchio, di un novello Churchill, senza accorgersi che il bambino dietro di lui si è accorto già che in realtà, in quello specchio, c’è solo l’immagine di una pochette senza nulla intorno, se non gli spettri di avvoltoi in giacca, cravatta e gramaglie, che si sfregano le mani, contenti della nuova pacchia, della nuova grande torta da spartire.
Avv. Paolo Cicico