STORIA LOCALE: JACOPO IV D’APPIANO E L’INVASIONE DEI BORGIA DELLO STATO DI PIOMBINO
Piombino (LI) – L’inaspettata chiusura de “L’Etrusco” ha impedito a Nedo Tavera la saltuaria pubblicazione dei suoi articoli divulgativi di storia piombinese, a cui aveva dato inizio pubblicandoli sulla testata del direttore Armando Nocchi. Un esperimento di pochi mesi in favore dei più digiuni di vicende storiche locali. Volentieri continuiamo a pubblicare questi articoli indicando, alla fine i link alle “puntate precedenti”. Buona Lettura.
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JACOPO IV D’APPIANO E L’INVASIONE DEI BORGIA DELLO STATO DI PIOMBINO
Riguardo al matrimonio contratto da Emanuele D’Appiano, del ramo cadetto della casata e Signore di Piombino dal 1451, esistono due versioni di due storici della città: Agostino Cesaretti parla delle nozze con una figlia naturale di Alfonso I, Re di Napoli, di nome Colìa; Licurgo Cappelletti specifica, invece, trattarsi di Colìa de’ Giudici, nobildonna della Capitanata di Puglia, nel Regno di Napoli, appunto. Questa Colìa, con cui Emanuele si era accasato, sarebbe stata figlia putativa di Giovanni de’ Giudici, notabile in Troia, nelle Puglie, dove effettivamente visse Emanuele. Pertanto, acquista autorevolezza la tesi di Cesaretti che cita «un atto di procura di D. Colia Aragona Appiani Genetrix Ill.mi Domini Iacobi III, de Aragona Appiano, dal quale istrumento si vede come si Aragonò in quel tempo la casa Appiana, e però per quella signora, Iacopo III fu il primo che si chiamò Aragona Appiano». Tale l’atto palesa innegabilmente l’unione matrimoniale fra le due casate. Non solo: se così non fosse stato, non si spiegherebbe facilmente tutta la benevolenza dimostrata dal Re aragonese verso il figlio di Emanuele, appunto Jacopo III.
Essendo cadetto della famiglia, Emanuele si tenne lontano da Piombino finché non poté regnarvi, divenendo anch’egli, con spirito d’avventura e con maggior vanto per un principe dell’epoca, un uomo d’armi e un condottiero valente, che militò per diversi potentati, fermandosi infine nel Regno di Napoli. Qui si procurò la stima di Alfonso I ponendo le basi per un proficuo parentado con la casa d’Aragona a molto vantaggio degli stessi D’Appiano. Emanuele fu un saggio e munifico Signore dedito al bene pubblico, amato dai sudditi, l’unico a cui si è concesso espressamente l’onore del titolo di una strada a Piombino.
Jacopo III, succeduto ad Emanuele, e Ferdinando I, succeduto ad Alfonso I, rispettivamente nipote e zio, consolidarono le ottime relazioni fra loro tanto che il primo, non solo aveva chiesto all’altro sostegno militare, ma, in imminenza della morte, legò più intimamente a lui la famiglia ponendo sotto la sua protezione il piccolo figlio, Jacopo IV. Ormai, Ferdinando poteva dirsi garante dei d’Appiano e della Signoria di Piombino.
Ferdinando I fu solerte con Jacopo III, combinandogli il matrimonio, nel 1476, con la nipote, Vittoria Piccolomini Todeschini d’Aragona, figlia del Duca di Amalfi; non solo: avviò il giovane all’arte della guerra nella quale si affermò come abilissimo uomo d’armi, tanto che, l’anno 1496, Jacopo IV decise di affidare il governo dello Stato alla sorella Eleonora e si dedicò stabilmente ad imprese militari al comando di eserciti, prima a fianco di Siena, poi di Firenze. Mietendo successi e standosene lontano dalla sua capitale, però, vi era chi mirava ad impossessarsi dei suoi domini, ed era addirittura un Papa che aspirava alla glorificazione del proprio figlio.
E’ noto che Alessandro Borgia, detto Duca Valentino, famoso condottiero, era riuscito ad assoggettare molte terre, come Ia Romagna, Pesaro, Urbino, ed era ormai chiaro alle potenze di allora che in tale politica espansionistica egli era assecondato e sostenuto dalle ambizioni e dai finanziamenti del padre, Alessandro VI. Con tale consapevolezza, i Piombinesi si dovettero prepare a subire un altro eventuale, lungo assedio.
Per il Valentino, forte del consenso pontificio e che intimò a Fiorentini e Senesi di restare neutrali e non intervenire, fu facile occupare, ai primi di giugno 1501, i territori e le isole piombinesi non adeguatamente protetti. Successivamente, si precipitò sulla città fortificata di Piombino, che, però, dovette limitarsi ad assediare. Le ostilità durarono per giorni senza successo per il Borgia, il quale, il 25 giugno, volgendosi verso la conquista di Napoli in concorso col Re di Francia, abbandonò personalmente l’impresa ma lasciò a capo di una parte dell’esercito, ad attanagliare le mura della città, Vitellozzo Vitelli e Giampaolo Baglioni, due dei suoi principali condottieri.
Jacopo IV d’Aragona Appiano dovette constatare l’incapacità di conservare il suo Stato in una lotta che lo vedeva contrapposto ad un Papa spregiudicato come Alessandro VI, trovandosi perdipiù privato dell’aiuto di Genova, di Firenze e dello stesso Regno di Napoli, allora conteso tra Francia e Spagna. Pertanto, lasciò reggente dello Stato il fratello Gherardo, Conte di Montagnana, e intraprese il viaggio verso la Francia per incontrare Luigi XII ed avere sostegno contro l’eventuale usurpazione del proprio Stato. Il Re non lo ricevette, ma nella risposta datagli rivelò il suo accordo col Papa per un gioco politico di cui Jacopo IV sarebbe stata la vittima: Luigi XII, infatti, non si opponeva al disegno di Alessandro VI su Piombino, come su altri principati italiani, poiché nella conquista di Napoli, da lui ottenuta proprio nel 1501, era stata garantita viceversa la neutralità papale, oltre all’impegno militare del Duca Valentino.
Oltretutto, Papa Borgia non aveva posto tempo in mezzo, e, avvalendosi di alcuni antichi privilegi spettanti alla Sede Apostolica, aveva investito il figlio della Signoria di Piombino. Jacopo IV, tornatosene a mani vuote dalla Francia, non poté fare altro che rifugiarsi con alcuni familiari in Liguria, mentre i Piombinesi, stretti nella morsa dell’assedio da circa tre mesi, senza speranza di potersene liberare, decisero di dichiarare la resa il 3 settembre.
Il 21 febbraio 1502, Alessandro VI e Cesare Borgia fecero il loro ingresso a Piombino, dove soggiornarono per diversi giorni intrattenuti da solenni cerimonie religiose e grandi festeggiamenti profani organizzati dalla Comunità. Destino volle che il Papa morisse il 18 di agosto del 1503 e che con lui svanissero le fortune del figlio, che morì, combattendo in Spagna, nel 1507. Appena saputa la scomparsa del Papa, i Piombinesi, a cui stava dando man forte un gruppo di armati fiorentini, si sollevarono contro il presidio borgiano, che si asserragliò nella Rocchetta e che fu ricacciato dalla città.
Jacopo IV rientrò a Piombino, ormai liberata, il primo di settembre del 1503, immediatamente dopo la morte del Papa Borgia, e riallacciò i rapporti di amicizia con Firenze e con Siena. Proprio i Fiorentini, nel 1504, inviarono a Piombino Niccolò Machiavelli come ambasciatore per suggellare nuovamente il patto dell’antica alleanza con Jacopo IV.
La caduta del Regno di Napoli, nell’anno 1501, seguita alla spedizione di Luigi XII, fu esiziale per lo Stato di Piombino e per Jacopo IV, il quale non si era potuto difendere dai Borgia neppure contando sull’alleanza e il parentado degli Aragonesi. La drammatica esperienza gli suggerì, tuttavia, di tutelarsi adeguatamente rivolgendosi al Re d’Aragona, Ferdinando il Cattolico, il quale aveva assunto anche la corona del Regno di Napoli, nel 1504, e che subentrò nella protezione di lui e del suo Stato. Non solo: fra gli Aragonesi e la Casa d’Appiano si accentuò il parentado, avendo il figlio di Jacopo IV, futuro Jacopo V, sposato Maria d’Aragona, nipote dello stesso Ferdinando il Cattolico.
Questo Re, durante il viaggio verso Napoli, l’anno 1507, accolse l’invito di visitare il Signore di Piombino, che l’ospitò per vari giorni nel modo più conveniente al suo rango e che ricevette dal lui la nomina a generale delle armi di S.M Cattolica per la Toscana; ciò fu il premio del suo riconosciuto merito di condottiero. Questo fausto corso di eventi attraversato da Jacopo IV culminò, nel 1509, con l’investitura imperiale del suo Stato concessa da Massimiliano I d’Asburgo. Di conseguenza, Jacopo abbandonò l’atavico titolo comitale essendogli riconosciuto quello di Principe del Sacro Romano Impero.
Come riferisce Cesaretti, i Piombinesi, negli anni avvenire, scelsero il 28 di agosto, festa di Sant’Agostino, evidentemente giorno della vittoria sugli ultimi armati borgiani, per celebrare la liberazione dalla tirannia del Duca Valentino.
Nedo Tavera
Firenze, 6 Gennaio 2021
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