GIOVAN BATTISTA LUDOVISI PRINCIPE RIVITALIZZATORE DI PIOMBINO E LA SORELLA IPPOLITA
Piombino (LI) – Continuiamo con gli articoli divulgativi di storia piombinese a cura di Nedo Tavera. In questo numero si narra degli ultimi d’Appiano, la peste manzoniana, i Ludovisi e l’occupazione francese di Piombino. Le puntate precedenti possono essere consultate qui, qui, qui, a questo link e a questo.
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GIOVAN BATTISTA LUDOVISI PRINCIPE RIVITALIZZATORE DELLO STATO DI PIOMBINO E LA SORELLA PRINCIPESSA IPPOLITA
La dinastia dei Ludovisi è stata di non lunga durata: un solo secolo, causa fusione, per via matrimoniale, con la Casa Boncompagni, da cui ha avuto origine la nuova discendenza dei Boncompagni Ludovisi. Il primo Principe di Piombino della famiglia fu Niccolò, il cui primogenito, Giovan Battista, è colui che ha fatto più onore alla stirpe, vivendo a lungo a Piombino, dove morì e fu sepolto. Egli regnò con saggezza lo Stato per ben 34 anni, lasciando il segno duraturo nella popolazione della sua benevolenza. Naturalmente, tutto è relativo: si può parlare di buon governo in relazione ai tempi e soprattutto in rapporto a quanto di meglio non hanno saputo fare i regnanti della medesima dinastia. Anche Giovan Battista dovette alternare la sua presenza a Piombino con i soggiorni a Roma o dove lo portavano gli incarichi militari e diplomatici assunti per il Re di Spagna, come generale delle galere del Regno di Napoli e come Viceré delle Indie.
Questo Principe si dice essere stato un dissipatore delle proprie finanze e persino dei propri patrimoni, e che fu fin troppo sensibile al fascino femminile: un uomo di mondo e un edonista, insomma. Questo lato della sua personalità, unico del genere che spicca fra i Principi della sua schiatta, a quanto sappiamo, lo descriverebbe come estimatore ed epigono del mondo fatuo e idilliaco delle Fètes galantes della sua epoca, di cui Antoine Watteau ci ha lasciato ampia documentazione pittorica per le realtà d’Oltralpe.
Tuttavia, l’aspetto umano di Giovan Battista si rivelò apprezzabile, mostrandosi partecipe delle esigenze dei Piombinesi: ad esempio, proteggendoli efficacemente contro scorrettezze e vessazioni provenienti da soldati del presidio spagnolo. Particolarmente umanitaria, e al tempo stesso utile per gli interessi economici e commerciali del Principato, fu l’apertura del Ludovisi agli Ebrei, che «con editto dell’8 novembre 1675, accordò franchigie e privilegi agl’Israeliti che volessero domiciliarsi ne’ suoi stati. E parecchi ebrei infatti presero stanza in Piombino, dove si diedero alla mercatura, commerciando colle altre popolazioni dello stato e con quelle finitime» (L. Cappelletti, 1897). Di questa massa immigrata, bene accolta e integrata in città, rimane testimonianza nella denominazione dell’antica Via Giudea.
Certamente, è noto che il danaroso Principe fu scriteriato nell’amministrazione di certi propri beni e che dovette contrarre perfino molti debiti, ma probabilmente fu un soggetto anche molto prodigo; sta a dimostrarlo una sua iniziativa generosa nei riguardi del popolo piombinese, con la quale propose di assumersi il carico degli oneri eventualmente in perdita della Comunità, ripianandoli con cento scudi all’anno delle proprie sostanze, nella economicamente rischiosa esperienza di rendere la città di Piombino porto franco; ideò, quindi, una città franca al fine di attrarre voluminosi traffici commerciali e movimentazione di materie prime a beneficio della Comunità stessa e dello Stato. In tale prospettiva di rilancio della marineria, al Principe si dovette inoltre una buona sistemazione dello scalo dei Canali.
La verità inconfutabile, ed è ciò che interessa per la storia di Piombino, fu che Giovan Battista, o Giambattista, capì perfettamente, cercando rimedio, che il male profondo di Piombino era divenuto l’assetto economico del tutto insufficiente. Pertanto, si preoccupò di elevare le sorti della città e dello Stato, moltiplicando i sistemi produttivi e risollevando lo spirito pubblico, promuovendo con decisione le attività commerciali, manufatturiere, industriali e portuali; si interessò di far aprire in città negozi specializzati di vario genere, di far mettere mano all’attivazione di una conceria, di una cereria, di una fabbrica di sapone, perfino di far impiantare una mancante drogheria ed altro ancora.
Nell’ottica di favorire la crescita economica generale dello Stato, uno dei primi provvedimenti che il Principe adottò fu la riapertura della Zecca, proseguendo la produzione della monetazione piombinese, ripristinata dal padre e poi interrotta. La facoltà di battere moneta a Piombino fu conseguente all’elevazione dello Stato in Feudo nobile del S.R.I voluta da Massimiliano I, l’anno 1509. Facoltà di cui sembra essersi avvalso per primo Jacopo VII, nel 1596, dopo l’avvenuta investitura imperiale a Principe di Piombino. La riapertura della Zecca, continuata con alcune intermittenze, fu poi opera di Niccolò Ludovisi, padre di Giovan Battista. Splendidi e preziosi esemplari di monete del Principato di Piombino furono nuovamente emessi nell’Ottocento, durante il regno di Elisa Bonaparte.
Il Sei e Settecento furono secoli di progressiva depressione demografica ed economica, per lo Stato di Piombino, iniziata, si può dire, con la peste del 1631, la successiva occupazione francese del 1646 e la infestante diffusione della malaria nelle maremme; fattori molto negativi, questi, che contribuivano a tenere lontani dalla propria capitale i principi regnanti. La desolazione nelle campagne piombinesi intorno alle paludi andava espandendosi, provocando l’abbandono delle coltivazioni; purtuttavia, motore principale e trainante dell’economia restavano, sebbene con andamento ridotto o intermittente, l’escavazione nelle miniere di ferro elbane e le lavorazioni nei forni e nelle ferriere dislocate nella campagna suveretana di Cornia e nell’attuale località di Follonica. Riguardo alla più o meno intensa attività di questi complessi siderurgici non molto è stato ancora studiato e chiarito; all’epoca di Giovan Battista non ci si poteva aspettare, comunque, che fossero introdotte e sviluppate le innovative tecnologie metallurgiche che apporterà il Settecento con la grande Rivoluzione Industriale europea.
In conclusione, si può affermare che il Principe Giovan Battista Ludovisi fu un sovrano, eccezionale per l’epoca, avente la mentalità e la statura del provvido e lungimirante Capo di Stato, del quale è innegabile il forte impulso che riuscì a imprimere nella rivitalizzazione di Piombino, consentendo alla popolazione un insolito periodo di respiro e di relativa tranquillità. Per la verità storica, bisogna dare conto del fatto che, se il bilancio degli anni del suo regno fu economicamente e socialmente possibile e proficuo, fu grazie anche alla congiuntura attraversata dallo Stato, che non provocò grandi scossoni a Piombino, ai Piombinesi e neppure al Principe stesso. Ma si stava profilando all’orizzonte un grande conflitto europeo che avrebbe mutato completamente il quadro della situazione nel Mediterraneo: la guerra di successione spagnola .
Giovan Battista Ludovisi cessò di vivere a Piombino il 24 agosto 1699 e fu sepolto con grandi onorificenze cittadine e manifestazioni di riconoscenza del popolo nella Chiesa di Sant’Antimo sopra i Canali. Gli successe l’unico figlio Niccolò, nato a Piombino a luglio 1698 e spirato a gennaio 1700; dallo sfortunato neonato, la successione al trono cadde sulla sorella di Giovan Battista, Olimpia, Oblata allora a Roma, nel Monastero di Santa Francesca Romana, una delle case religiose femminili della città riservata alle giovani delle famiglie blasonate. La povera Olimpia accettò volentieri la corona principesca, ma inaspettatamente morì anch’essa proprio nel 1700, senza neanche avere il tempo di prendere possesso di Piombino.
Quindi, a succedere legittimamente nel governo della città fu Ippolita Ludovisi, nel 1701, altra sorella di Giovan Battista, ultima della stirpe, la quale al momento di ereditare il titolo e il dominio era sposata con Gregorio Boncompagni, Duca di Sora. Unite in matrimonio le loro due famiglie, ebbe pertanto origine la dinastia dei Boncompagni Ludovisi. Gregorio, discendente da Giacomo Boncompagni, figlio naturale di Papa Gregorio XIII, aveva ereditato il Ducato di Sora ed altri importanti feudi circostanti ad esso, che uniti ai territori del Principato di Piombino e agli altri in capo ai Ludovisi venivano a costituire un dominio largamente esteso.
Anche la Principessa Ippolita, come Giovan Battista, ebbe in sorte di regnare lungamente, oltre un trentennio, ma di fatto la sua azione di governo, qualora fosse potuta essere del livello del fratello, non ebbe modo di estrinsecarsi pienamente subendo il condizionamento dei limiti imposti dalla guerra di successione spagnola, scoppiata nel 1702. Le intrigatissime vicende dell’evento bellico furono originate dalla morte senza eredi nel, 1700, di Carlo II, Re di Spagna; evento che produsse un problema dinastico e coinvolse la Francia, l’Impero ed altre grandi potenze nel problema della successione e del riequilibrio della stabilità europea.
Ippolita Ludovisi ed il marito coreggente vengono ricordati per aver decretato, il 4 giugno 1706, l’entrata in vigore del Calendario Gregoriano nello Stato di Piombino, in anticipo sul Granducato di Toscana. La Principessa restò vedova, nel 1707, e dovette gestire da sola le sue responsabilità nel corso del lungo conflitto, che terminò nel 1714. Quanto al Principato di Piombino, per il fatto di essere un Feudo imperiale a tutti gli effetti, le truppe dell’Imperatore ne avevano fatto una propria base militare, nel 1708. Tale condizione non rendeva probabilmente stimolante per la Principessa Ippolita, dimorante a Roma, il risiedere stabilmente a Piombino, dove però soggiornò più volte.
Nonostante la presenza del nuovo contingente militare straniero, Piombino registrò un ennesimo attacco dei corsari barbareschi, ossia nordafricani, nel 1726: fu un’azione fulminea dei pirati che riuscirono a penetrare in città ed a saccheggiarla in parte. E’ veramente desolante apprendere la condizione precaria delle fortificazioni urbane così come descritte dagli Anziani in una lettera di sollecito al risanamento inviata al Viceré di Napoli, «Poiché essendo esse aperte, dànno adito a far fuggire i soldati della guarnigione e a continue notturne scorrerie di corsari, che obbligano gli abitanti ad abbandonare la città» (Cappelletti, 1897).
La guarnigione straniera di cui sopra, sostituitasi alla spagnola, abbandonò il territorio piombinese soltanto il 25 gennaio 1734. A marzo dello stesso anno moriva, a 70 anni, la Principessa Ippolita Ludovisi Boncompagni, che aveva governato da Piombino e da Roma come meglio aveva potuto, in buon accordo con gli Anziani piombinesi. Le succedeva la figlia Maria Eleonora, vedova dello zio paterno Antonio Boncompagni.
Il declino di Piombino, dopo il governo di Giovan Battista Ludovisi e la guerra di successione spagnola divenne inarrestabile; declino proseguito inesorabilmente con il susseguirsi di vicende storiche internazionali dirompenti nel corso del Settecento. Dallo svolgersi dei secoli passati risulta palese quanto fosse disagevole e talvolta ardua l’esistenza a Piombino in tante fasi della sua movimentata storia contrassegnata da avversità naturali, carestie, pestilenze; queste, per la verità, erano comuni ad ogni altra città antica, ma assumevano particolare angoscia proprio a Piombino, causa l’aggravante delle ricorrenti aggressioni nemiche, scorrerie corsare, invasioni straniere, dovute tutte alla sua singolare posizione geografica strategica ambita nel Mediteraneo, per cui in troppe potenze destava cupidigie di possesso.
Nedo Tavera
Firenze, 19 Giugno 2021