LA PRINCIPESSA ELEONORA BONCOMPAGNI LUDOVISI E LE RIMOSTRANZE DEGLI ANZIANI PIOMBINESI

Dettaglio della tomba di Maria Eleonora a Roma

Piombino (LI) – Continuiamo con gli articoli divulgativi di storia piombinese a cura di Nedo Tavera. In questo numero si narra della principessa Eleonora Boncompagni Ludovisi e le rimostranze degli anziani piombinesi. Le puntate precedenti possono essere consultate qui, qui, qui, qui, a questo link e a questo.

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LA PRINCIPESSA ELEONORA BONCOMPAGNI LUDOVISI E LE RIMOSTRANZE DEGLI ANZIANI PIOMBINESI

Maria Eleonora Boncompagni Ludovisi, figlia della Principessa Ippolita Ludovisi, sposò a sedici anni lo zio paterno Antonio Boncompagni, maggiore di ventotto. I matrimoni combinati di un tempo fra strette parentele blasonate contemplavano simili unioni specialmente al fine di conservare integro l’ingente patrimonio delle due casate unite. Eleonora ricevette l’investitura del Principato di Piombino da Filippo V, Re di Spagna, nel 1734, ed era rimasta vedova nel 1731; regnò per non molti anni, essendosi spenta nel 1745. Di lei si parla come nobildonna molto timorata di Dio dalla condotta di vita eccezionalmente sobria e improntata alla pietà, distintasi virtuosamente in opere di misericordia, di carità e di pura beneficienza. Visse nelle sue magnifiche residenze romane e amministrò lo Stato mediante un governatore generale inviato a Piombino.

La città attraversava allora una fase di riassestamento sociale concomitante alla partenza delle truppe austriache del presidio, e la Sovrana, nonostante la buona volontà ed i sani principi mostrati, si teneva lontana fisicamente dal suo Stato e assente dal proprio ruolo primario di governo, lasciando spazio a sua insaputa, come vedremo, all’infiltrazione di carrieristi ed affaristi. In effetti, si potrebbe riconoscere alla Principessa, come attenuante, il fatto che l’investitura dinastica di Piombino le giunse ad un’età matura, avendo ormai acquisito attitudini e stile di vita connaturati alle sue inclinazioni e forse non del tutto rispondenti ai requisiti ed alla preparazione occorrenti per la conduzione di uno Stato. Si tenga anche conto che, col 1734, mentre si andavano lentamente spegnendo l’eco e l’insofferenza provocate in Piombino dalle conseguenze della guerra di successione spagnola, si avvertiva quasi spirare in Europa l’imminente guerra di successione austriaca (1740-1748).

La benevola regnante ricevette la corona principesca a 48 anni, dopo la morte della più energica Principessa madre, settantenne, e morì a 59, causa un’infezione contratta in un ospedale romano dove stava praticando le sue compassionevoli visite agli infermi, adempiendo alle opere di misericordia corporale raccomandate dalla Chiesa.

Qualche breve appunto si dovrà dedicare a San Camillo de Lellis, per la cui causa di beatificazione si  era spesa molto la Principessa Eleonora. Camillo de Lellis (1550-1614), come San Giovanni di Dio in precedenza ed altri Religiosi dopo il Concilio di Trento (1545-1563), si dedicò esclusivamente alla grande riforma dei sistemi tradizionali dell’ospedalità e dell’assistenza ospedaliera, apportando importantissimi miglioramenti in campo igienico e organizzativo, contribuendo ad alleviare molto i mali dell’epoca.

Dopo un percorso di iniziazione religiosa e di degenza ospedaliera al San Giacomo degli Incurabili di Roma, avendo sperimentato di persona le deficienze insite di consuetudine nella cura degli infermi, Camillo de Lellis s’improvvisò egli stesso infermiere, meditando al tempo stesso una rivoluzionaria innovazione in campo sanitario: la creazione di una compagnia istituita al solo fine di accudire totalmente ed eroicamente gli ammalati. Nel 1582, grazie alla sua opera, prese vita la Compagnia religiosa dei Ministri degli Infermi, chiamati familiarmente “Padri Camilliani”, i cui voti erano i tre comuni: povertà, castità, obbedienza, più il seguente di «perpetua assistenza corporale e spirituale ai malati, ancorché appestati». La loro missione doveva consistere, infatti, nell’«esercizio delle cure spirituali e corporali di misericordia degli ammalati, anche per quelli colpiti dalla peste, sia negli ospedali e nelle prigioni sia nelle case private, e dovunque ce ne sarà bisogno». La Compagnia dei Camilliani fu elevata a Ordine Religioso nel 1591. Camillo de Lellis fu beatificato nel 1742 da Benedetto XIV, che lo canonizzò nel 1746, un anno dopo la morte della Principessa di Piombino.

Del breve regno di Eleonora rintracciai negli archivi fiorentini un importante manoscritto, poi pubblicato, che illustra appieno il disastroso declino in cui versava Piombino in quegli anni a causa della distanza fisica della Principessa, dimorante a Roma, e pertanto della cattiva condotta, corruzione, tracotanza di qualche  governatore profittatore e dei maneggi occulti di personaggi di dubbia moralità che si ingerivano in affari di commercio attinenti allo Stato

Il lungo manoscritto citato è una “Memoria“, ossia un vero e proprio Esposto, che i Padri Anziani di Piombino rivolgevano nel 1736 a Eleonora, con estrema deferenza, ma con uguale risolutezza per lamentare le pessime condizioni di vita in cui si trovava costretta la popolazione; siamo nel secolo dei “lumi”, e la forma encomiastica ed elogiativa usata dai sudditi verso la Principessa è ancora consona al più retrivo assolutismo, ma il contenuto risuonerà esplicitamente come grave accusa al sistema governativo, rivendicando apertamente diritti e favori negati al popolo.

Nelle parole rivolte alla Principessa, gli Anziani umilmente «Si pongono a’ Suoi piedi, e spinti da non altro motivo, che dall’interesse del pubblico bene, e principalmente dallo zelo della sua gloria hanno creduto loro debito di porle in veduta il presente sistema sì nell’Economico, e Civile, quanto ancora nel Politico del Governo di questo suo felicissimo Stato […], affinché sull’informazione veridica, che si danno l’onore di presentarle in questi fogli, Si degni, come umilmente La supplicano di darne quei provvedimenti, che all’alto suo intendimento sembreranno più convenevoli.

        Nelle passate turbolenze d’Italia essendosi truovato questo Principato involto esso pure nelle communi disavventure non possono bastantemente deplorarsene le miserie, e concepirsene i gravissimi danni sofferti se non dando un occhiata a queste un tempo ubertosissime, e popolate Campagne di Terraferma ora ripiene di desolazione, e d’orrore, ed in specie questa Sua Capitale Città di Piombino ridotta pocomeno che ad una Macerie di Sassi, e dove prima essa sola dentro le sue Mura contava fino a ottomila Anime, presentemente non arrivano a 800.

         Il maggiore però, ed il più acerbo de’ suoi disastri, che non può rammemorarsi senza lagrime si fù quello di vedere nell’anno 1708 invaso lo Stato di Terraferma dall’Armi Alemanne, e Noi per ultima sciagura, e questo fedelissimo Popolo tolti al vassallaggio de’ Nostri Legittimi Principi, sotto il di cui dolce governo non ebbémo niente mai che invidiare anche alle più floride, e fortunate Monarchie della terra».

Le vicende ultrasecolari di Piombino riflettono la travagliata politica italiana e le frequenti invasioni staniere di cui è stata succube la città. Qui si parla delle “Armi Alemanne”, alludendo, come detto, al periodo storico della guerra di successione spagnola (1702-1714) e quindi alle milizie imperiali austriache che occuparono i territori della Penisola dell’orbita spagnola, tra i quali il Regno di Napoli, la Sardegna e, appunto, Piombino. Come già sappiamo, gli stranieri abbandonarono quest’ultima città solo nel 1734.

Il primo procuratore inviato dalla principessa Eleonora nel suo Stato fu Giuliano Capobassi, il quale «seppe questi così bene esequire gli ordini, et uniformarsi al pijssimo genio della Sua, e Nostra Signora. […] colla venuta, che fece detto Ministro nel Marzo di detto anno in Terraferma, dove era maggiore il bisogno, avendo quivi parimente lasciato ottimi regolamenti, profuso a larga mano delle Limosine per V.E., e stabilitene ancora fissamente delle segrete, ed essendo poscia nel seguente mese d’Aprile partito esso Sig.r Capobassi per tornarsene a Roma  portò seco le più sensibili, e sincere ripruove di nostra riconoscenza non meno, che d’un umilissima verace rassegnazione all’obbedienza della  Loro benignissima Signora […].

        Non si sa per altro se per la solita emulazione, e contradizione tra Ministri, o per il naturale torbido del Sig.e B. Gio. Domenico Cavallina, che restò Gov.re Generale, rimanesse alterata, e confusa la giusta oppinione dal Sig. Capobassi presso della nostra Sovrana nella di lui partenza riportata, della universale sincerissima obbedienza de’ Vassalli di questo Suo Stato. Il fatto si è che fu tentata ogni maniera per far concepire a S. Ecc.za di essere i Suoi Vassalli di pessima qualità, inimici di quella, ed in gran parte Ribelli […].

        Prevalsero però i sentimenti favorevoli del Si.r Capobassi presso la Sovrana, la quale colla Sua innata pietà […] fece a tutte le Comunità del Principato grosse imprestanze, senza delle quali non potevano farsi in quella  scarsissima stagione le necessarie semente, che poscia riuscirono fertilissime. Il Sig.e Cavallina per altro nel rimanente del suo governo, che durò tutto il mese di Decembre di detto anno 1734 non intermesse mai, anzi accalorì le sue stravaganze giungendo fino a pretendere per la sua persona sublimità non più udite di Trono elevato con più gradini in Chiesa, dell’assistenza de’ laterali come a Vescovi, ed altre pazzie di peggiori effetti, e di trattare come schiavi li poveri Vassalli […]».

Il documento degli anziani prosegue ricordando che al principio del 1735 la Principessa inviò di nuovo, da Roma, come ministro Giuliano Capobassi, il quale pose le basi per risollevare l’economia industriale, riattivando gli antichi forni e le ferriere di Suvereto e di Follonica: «In fatti aveva Egli promossa, ed erasi proseguita dell’efficace insistenza per ricuperare, come si ricuperarono, il Forno e Ferriere di Fellonica, e per intraprendersene in quella stagione, come seguì, la lavorazione […]. Similmente con tutta premura, ed attenzione furono intrapresi, e perfezionati li risarcimenti del Forno e ferriere di Cornia, e queste poste anche in quell’anno a lavoro […].

        Queste due opere grandi quanto maggiore si vedevano profittevoli al Principato, e Vassalli, e di applauso al sig.e Capobassi, ed a chi aveva prestata assistenza, altrettanto si accesero le emulazioni di qualcun altro Ministro, e l’invidia di alcuni maligni, e odiosi, li quali procurarono di seminare tali zizanie nella mente della Padrona che fu la medesima costretta a determinare di non farsi più a conto proprio Lavorazione alcuna.

        Di cotale sinistro successo ne dobbiamo aver grado […] ancora al malanimo di non pochi, a’ quali era insoffribile il sopradivisato appaluso, ed inspecie al Sig.r Cavallina, che riguardava non con troppo buon occhio la savia condotta del suo successore, contro di cui si fermò Egli per mesi nello Stato a seminar torbidi, che pretese accrescere fino con sporcamente lodar sé stésso in Stampa, e con attribuire al Sig.r Capobassi la sua rimozione, accaduta unicamente pe’ suoi difetti, ed accenate ragioni bén note a S. Ecc.za.

        Con esso era strettamente confederato il noto Baldesi annidato in Piombino, donde più volte per gravi mancanze hà dovuto fuggire ed ha cagionato de’ danni assai rilevanti al Principato, e particolarmente nel lagrimevole dissipamento delle 21 Miglia di Macchie co’ suoi artifici, co’ quali tentò ancora d’indurre il Sig.r Capobassi sulla sua prima venuta a far restar serrati per cinque anni li Forni e Ferriere di Féllonica sotto pretesto di non esservi legna per così farli perire […].

        Rispetto poi all’Economico non si poteva far di peggio ché il distogliere maggiore cavamento di Vena, e la Lavorazione de’ Forni ne’ quali consiste tutto il più stabile fondamento del Principato, il divertire le semente, che unicamente reggono questo poco di residuo di Piombino, ed il tralasciare di rimettere in essere gli altri Capitali abbandonati, ed in specie quello delle Saline, che, come altre volte è seguito, possono rendere 500 Scudi annui.

        E finalmente quanto al Politico egli è manifesto, ché non può mai farsi parte cotanto perniciosa quanto quella, ché è stata adoprata per imprimere senza ombra di verità nell’animo della Padrona, che sono a Lei nemici, e ribelli i propri Vassalli, e per far concepire a questi d’essere perciò odiati, ed abbandonati dalla medesima, e che da questo appunto nasceva l’esser Loro negata la Giustizia, e le Grazie una volta promesse, in luogo delle quali ne succedevano gli improvvisi rigori, e i nuovi aggravi  a danno eziandio del Principato medesimo. […]» (N. Tavera, 1978).

Le lagnanze, le accuse e le richieste dei Padri Anziani continuano ancora nella Memoria da loro inviata alla Principessa, coinvolgendo personaggi equivoci, i quali si agitano sullo sfondo di una societa sofferente, perché, appunto, mal governata e spaventosamente lesa nei suoi diritti da opportunisti e corrotti. Fortunatamente, stava soffiando anche verso Piombino la ventata illuministica sconvolgitrice del corso della storia.

 Nedo Tavera

 

 

Scritto da il 28.6.2021. Registrato sotto cultura, Foto, Toscana-Italia, ultime_notizie. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

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